Spesso si parla di gestione delle emozioni. Parliamo delle modalità più diffuse e di quelle davvero efficaci per far fronte ai sentimenti difficili, che non possiamo semplicemente spegnere…

Tante volte, ci diciamo, vorremmo imparare a “gestire” le emozioni più difficili: l’ansia, l’agitazione, la rabbia, la tristezza profonda, il senso di solitudine, di vuoto, la colpa, la vergogna…

Spesso questo tema è trattato con una certa superficialità, magari è qualcun altro a dirci: “devi imparare a gestire questo aspetto di te!”, come se le emozioni fossero degli aspetti tangibili della nostra esistenza, in fondo prevedibili e controllabili.

Le emozioni “difficili” emergono quando la realtà va diversamente da come l’avevamo desiderata o immaginata. Sia che questa realtà riguardi il mondo esterno, noi stessi, o entrambi, il risultato è un senso di disagio che può assumere i toni dell’ansia, dell’abbattimento, magari del senso di colpa perchè le cose non vanno come avremmo voluto. Anche quando il nostro contributo all’evento è minimo, ma continuiamo a sentirci “difettosi”.

Come reagiamo?

A questo punto, provando a reagire, frequentemente mettiamo in atto queste possibilità:

  • o esageriamo le nostre emozioni, restando così intrappolati in un continuo rimuginare sulla nostra sfortunata situazione
  • o evitiamo, con diversivi vari, quali fumo, cibo, alcool, lavoro o divertimenti, di sentire queste sensazioni

Queste due strade sono implicitamente delle strategie per “regolare”, cioè rendere più tollerabili le emozioni difficili. Peccato che entrambe siano disfunzionali, cioè non funzionano!

Perchè non funziona?

Non funzionano perchè:

  • vengono attivate automaticamente, cioè senza consapevolezza. Se questo da un lato ha il vantaggio di renderle immediatamente utilizzabili, dall’altro non permette di compiere una scelta di gestione adeguata alla situazione specifica che si sta vivendo, che potrebbe essere una terza o una quarta o una quinta strategia…
  • non ci permettono di accedere alle nostre risorse interne, e ai processi virtuosi che ci consentono di uscire dai circoli viziosi!

Vediamo un po’ più da vicino questa differenza tra processi virtuosi e viziosi.

Oguno di noi crescendo sviluppa specifici processi di “autoregolazione”, ossia processi che gli consentono di occuparsi da solo di se stesso, via via senza il supporto dei genitori, e di rispondere e soddisfare quindi i bisogni fisici ed emotivi. Quando questo è possibile, la persona è in grado di trovare autonomamente un senso della propria esistenza, sempre restando però in connessione con gli altri.

A cosa ci serve l’autoregolazione?

La capacità di autoregolazione è fondamentale per il benessere e per arrivare a gestire anche le inevitabili emozioni difficili. In ogni caso, essa va sempre insieme alla complementare capacità di regolazione interattiva, anche in età adulta: da grandi, per soddisfare i nostri bisogni, soprattutto di attaccamento e appartenenza, abbiamo comunque bisogno degli altri. Magari non avremo più bisogno della mamma quando piangiamo ma certo il conforto di un amico o del partner ci farà bene.

Il processo virtuoso sta dunque nella capacità di ricorrere

– sia alla autoregolazione, cioè alla soddisfazione in prima persona delle proprie necessità;

– sia alla regolazione interattiva, cioè alla capacità di chiedere aiuto.

Il processo vizioso sta invece nell’eccesso dall’una o dall’altra parte. O ci illudiamo di potere superare tutto da soli, ricorrendo alla spirale distruttiva dell’autoregolazione, attraverso strategie ripetitive, automatiche, disfunzionali (quali appunto il ricorso a qualsiasi cosa ci possa distrarre e far dimenticare anche se per poco il problema, es. alcool, mille impegni, ..), o mettiamo il nostro benessere e la nostra felicità nelle mani degli altri, come avviene ad esempio nelle relazioni di coppia in cui un partner è dipendente dall’altro.

Come smettere di trovare soluzioni (sbagliate) al nostro malessere?

Paradossalmente proprio smettendo di cercare le soluzioni e occupandoci, curandoci del nostro dolore, delle nostre emozioni difficili che stanno a monte.

Questo è difficile perchè la tendenza può essere facilmente quella di sopprimere tali emozioni, di allontanarcene, proprio come allontaneremmo la mano dal fuoco.

Sfortunatamente sopprimere le emozioni non risolve i problemi, poiché le emozioni soppresse tendono ad amplificarsi e ad aggregarsi.

Quando abbiamo lungamente evitato di affrontare un’emozione (o perché l’abbiamo evitata o perché l’abbiamo minimizzata) quello che succede è che avviene una specie di esplosione emotiva e il nostro senso di sè è invaso dalla nostra reazione emotiva che ci avvolge come la carta avvolge una caramella, intrappolandoci. A quel punto non rimangono spazi mentali per mettere in atto strategie che funzionano.

Il punto, chiaramente, è notare il dolore quando sorge, senza evitarlo né esagerarlo. Senza rimanere impigliati nelle sensazioni, senza minimizzarle, ma mantenendo una consapevolezza che ci permetta di essere presenti e con uno spazio interno di osservazione.

La psicoterapia ha questa funzione: aiutarci a trovare il modo di non evitare ma prendersi cura delle proprie emozioni difficili, renderle tollerabili quel tanto che basta perchè non siano troppo, affinchè possiamo guardarle in faccia, riconoscerle, viverle, trovare delle soluzioni creative e finalmente efficaci per farle scorrere, trasformarle e ritrovare il piacere di vivere.

Scritto da: GuidaPsicologi.it