Perché i baby influencers hanno successo? Un motivo potrebbe risiedere nella spontaneità e naturalezza, ma spesso pose e sfondi sono studiati dai genitori

Outfit all’ultima moda, pose da consumati professionisti del fashion, sguardo serio: sono piccoli protagonisti, baby influencers popolari sui social media.

Baby influencers: chi sono e che cosa fanno sui social

Li chiamano micro-microcelebrities, mini influencers, kid influencers o più spesso baby influencers. Non si tratta solo di figli di persone famose: i baby influencers più famosi infatti sono sconosciuti, come ad esempio in Italia la piccola Ameli, 6 anni, con più di 2 milioni di iscritti al suo canale YouTube, oppure su Instagram la piccolissima Gaiaburuburu, classe 2016, gaiamasseroni e lauramasseroni, sorelle anche su Instagram, o ancora gennarodesimone.

Oltre oceano è un fenomeno consolidato e frutto di scelte mirate per ottenere un ritorno economico dall’attività sui social, quasi sempre gestiti da genitori-manager (si parla di “sharenting”: la condivisione di post con i propri figli), come faroukjames, clementstwins, coco_pinkprincess tra i più popolari. Che si tratti di vlog su Youtube o di immagini su Instagram, i contenuti variano da foto con capi e accessori alla moda o, invece, semplici episodi di vita quotidiana. Viene chiamata automedia (Pedersen e Aspevig, 2018) questa nuova forma di autobiografia attraverso i media; come un nuovo genere letterario, fa riferimento alla creazione e condivisione della narrazione della vita online.

Come mai sono così popolari: cosa significa comunicare la vita reale attraverso i media

Perché i baby influencers hanno successo? Una spiegazione potrebbe risiedere nella spontaneità, nella messa in scena di pezzi di vita di persone comuni, autentiche, che si mostrano così come sono, “celebrità ordinarie”, come le definisce Abidin (2015; 2017), perché danno l’impressione che non ci sia nulla o quasi di artefatto in ciò che condividono. E’ questa autenticità che comunica un senso di connessione e somiglianza. L’Autrice parla però di “calibrated amateurism”: questo stile amatoriale sarebbe “calibrato”, cioè creato ad hoc in maniera intenzionale e deliberata appunto per creare questo legame con i followers. Anche se le produzioni sembrano amatoriali (gli sfondi, le pose) si ha invece un livello di competenza digitale e tecnologica molto alto. Per trasmettere un senso di continuità, vicinanza e fidelizzare i followers, i post vengono pubblicati a cadenza quasi giornaliera, con contenuti semplici e tratti dalla vita quotidiana. I contenuti sono adattati per essere ben fruibili su tutte le piattaforme e i device in diversi formati, dal video di Youtube alle immagini di Instagram, con l’uso abile delle affordance dei diversi social media.

Privacy e uso dei social media

Secondo le recenti leggi sulla privacy per i minori (come la GDPR-Kids), nessuna informazione personale può essere acquisita a meno che un genitore non abbia dato espressamente l’autorizzazione. La socializzazione digitale dei più piccoli avviene molto presto: secondo i dati del PWC Kids Digital Media Report 2019, ogni secondo nel mondo 2 bambini si connettono per la prima volta; un terzo degli utenti attivi online è minorenne; un bambino di 4 anni spende in media 4 ore a settimana online che salgono a più di 20 per i ragazzi di 15 anni. Anche se il loro primo contatto avviene quasi sempre in presenza e con i genitori, risulta difficile credere che l’utilizzo sia sempre mediato da figure adulte. Se da un lato ciò favorisce un processo di rispecchiamento dei comportamenti dei genitori, dei quali imitano l’utilizzo di tecnologie e app per trasmettere storie di vita e “condividerle live”, dall’altro siamo di fronte a una contraddizione. Minori visti come analfabeti digitali che necessitano della guida di un adulto, ma poi soggetti in grado di costruire intorno a sé una identità online e farla fruttare, anche economicamente.

La vita in un post: pubblicità e futuro

Un ampio numero di followers vuol dire anche arrivare all’attenzione dei brand. La monetizzazione dei post – o per meglio dire degli advertorial (l’unione di advertising ed editorial, poiché sui social la pubblicità è integrata in un contenuto editoriale, post o video) – è un mercato in crescita che sfrutta proprio quel senso di fiducia e di appartenenza. Gli influencers provano personalmente dei prodotti e pubblicano post in cui li descrivono accuratamente, ne descrivono l’uso che ne hanno fatto e le caratteristiche. Per essere trasparenti con i propri followers, il post dovrebbe essere accompagnato da un “#ad” o “#advertising” per segnalare agli utenti che si tratta di un post sponsorizzato, tuttavia non tutti gli influencers adottano questa misura in quanto non obbligatoria. I prodotti più sponsorizzati sono principalmente di moda, bellezza, alimentari, viaggi, elettronica. Anche per i baby influencers con un buon numero di followers (in media a partire da 40.000) si aprono le porte della commercializzazione dei post con ottimi riscontri e potenzialità: l’importante nicchia di mercato dei prodotti per bambini e per famiglie. A volte assistiti da agenzie, più spesso da genitori-manager, questi bimbi vengono ritratti mentre mangiano un certo snack, mentre scartano un determinato gioco, fruttando consistenti compensi per i genitori.

Al di là dell’aspetto economico, cosa comporta questa continua esposizione mediatica per i piccoli? Essendo un fenomeno recente, lo scopriremo tra un po’, quando sapremo che fine hanno fatto queste piccole star del web. Ci sarà anche da capire come reagiranno a tutto quel materiale pubblicato senza il loro consenso. Le tracce che lasciamo online rimangono e non sappiamo per quanto e a chi rimangono disponibili. Per il momento questo sembra un prezzo da pagare non troppo alto; probabilmente questa diventerà una tematica oggetto di discussioni più approfondite in futuro, quando quelli che oggi sono bambini diventeranno adulti consapevoli.

 

Scritto da: Chiara Cilardo

 

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