Quali sono gli strumenti a disposizione delle future mamme per riuscire a gestire il forte carico emotivo durante l’emergenza da Covid-19?
La gravidanza si presenta dunque come un momento di notevole complessità psicologica e quindi anche di potenziale vulnerabilità. Cosa implica affrontarla durante l’emergenza sanitaria da Covid-19?
Sono una psicoterapeuta e sono incinta. Non che questi siano privilegi di questi tempi, ma con questo articolo vorrei condividere alcune riflessioni su cosa vuol dire diventare mamma ai tempi del Covid19. Cercherò di dare il mio contributo personale e professionale, facendo luce sullo stato attuale della ricerca, sugli aspetti psicologici implicati nella gestazione e sulle opportunità presenti sul territorio nazionale.
La gravidanza costituisce di per sé un momento particolare della vita di una donna, in cui gli aspetti di cambiamento psicologico e somatico richiedono complesse capacità di adattamento.
Oltre alle trasformazioni fisiche, la gestazione implica nuovi ed importanti equilibri riguardo all’identità individuale, di coppia e sociale (Della Vedova, 2009). La donna in gravidanza deve confrontarsi contemporaneamente con le modificazioni corporee in atto e con l’assunzione del ruolo materno, processo che implica responsabilità e timori. Gli aspetti relativi alla costruzione dell’identità femminile-materna devono inoltre essere conciliati con i cambiamenti che il nuovo ruolo impone rispetto al contesto, all’identità lavorativa, culturale e sessuale della donna (Ibidem).
La gravidanza si presenta dunque come un momento di notevole complessità psicologica e quindi anche di potenziale vulnerabilità.
In questo periodo di cambiamento, la gestione delle emozioni diviene ancor più complessa se i nostri punti di riferimento sono distanti, se ci troviamo a combattere contro un nemico invisibile che non conosciamo, se non possiamo contare del tutto sui Servizi Sanitari.
Tuttavia, ciò che rende insopportabile tutto questo e ci fa sentire ancora più deboli e impotenti è il bisogno assoluto e irrinunciabile di avere risposte certe su come andranno le cose.
L’ansia deriva proprio dalla percezione di aver perso capacità predittiva rispetto a un certo dominio di fenomeni (Kelly, 1955; Lorenzini e Sassaroli, 1995). Improvvisamente il sistema sa di “non sapere”. Non è il semplice “non sapere” che genera ansia. Le molte cose che non conosciamo non ci danno alcuna preoccupazione. Quest’ultima subentra invece solo a seguito di un fallimento previsionale (Lorenzini e Scarinci, 2013). Fino a quel momento credevamo di sapere, poi una invalidazione ci convince che sbagliavamo. In un certo ambito conoscevamo e invece non conosciamo più. E più è ampio il campo in cui si resta senza prevedibilità, maggiore sarà l’ansia (Lorenzini e Sassaroli, 1995).
Ma non c’è solo l’ansia. Lo scoraggiamento è la sensazione che si ha di fronte alla necessità di compiere un lavoro faticoso, dall’esito incerto e del tutto inaspettato (ibidem). Infatti, di fronte a una invalidazione, il sistema deve compiere un lavoro di ristrutturazione complessivo dovendo aggiornare le mappe che si sono dimostrate imprecise (ibidem). Questo lavoro di ristrutturazione interna sarà tanto più faticoso, lungo e impegnativo tanto più l’invalidazione (o la previsione di essa) colpirà una credenza centrale del nostro essere al mondo (ibidem).
Pensiamo all’importanza che attribuiamo allo scopo “diventare una buona madre”: quanta più incertezza percepiamo intorno a noi e tanto più catastrofiche saranno le nostre previsioni per il futuro, molto più difficile sarà vivere nel momento presente per poter sfruttare tutte le possibili risorse disponibili e godere del benessere della dolce attesa.
C’è poi l’emozione della rabbia suscitata dalla percezione del senso di ingiustizia subito: di certo avevamo immaginato una gravidanza migliore, proprio ora doveva accadere?
Anche il senso di colpa fa la sua parte: il timore di poter contrarre il virus se non sufficientemente attente, anticipa uno scenario catastrofico che deve fare i conti con il nostro senso di responsabilità; la possibilità di non poter offrire al bambino la sicurezza che si auspicava, ci delinea come le artifici di un atto immorale.
Ma non tutto è perduto!
Diversi sono gli strumenti a disposizione che consentono di riacquisire una maggiore prevedibilità rispetto al futuro e che permettono di gestire il forte carico emotivo che le future mamme si trovano ad affrontare oggi.
Importante è la conoscenza scientifica dello stato della ricerca. Uno studio pubblicato pochi giorni fa sull’American Journal of Obstetrics and Gynecology – Maternal Fetal Medicine (2020), riguarda l’analisi dei dati iniziali sugli esiti delle gravidanze nelle pazienti affette da Covid 19. L’analisi ha valutato i primi casi riportati in letteratura, provenienti dalla Cina, in attesa che vengano pubblicati anche i primi dati sull’esperienza italiana (Di Mascio et al.,2020). Dai risultati dello studio, emerge che nelle madri infette da infezioni da coronavirus, tra cui il COVID-19,> 90%, delle quali presentava anche polmonite, il parto pretermine è il più comune risultato negativo della gravidanza. Anche l’aborto spontaneo, la preeclampsia, il parto cesareo e la morte perinatale (7-11%) erano più comuni che nella popolazione generale (Ibidem). Un dato importante, però, è l’apparente assenza di evidenze di trasmissione verticale della malattia, ovvero di trasmissione dell’infezione dalla madre al feto in utero (Ibidem). In altre ricerche è stato rilevato che il liquido amniotico, il sangue del cordone, i tamponi nasofaringei dei neonati, i tamponi placentari e vaginali e i campioni di sangue di madri COVID positive erano infatti risultati sempre negativi alla ricerca del virus SARS-CoV-2 (Chen et al., 2020; Fan et al., 2020; Wang et al.,2020; Zhu et al.,2020; Li et al.,2020; Chen et al., 2020; Chen et al., 2020).
Queste analisi forniscono i primi strumenti per soddisfare l’urgente bisogno di numeri che possano orientare il counseling e il management delle gravidanze affette da Covid 19. L’analisi è certo limitata dalla scarsa presenza di dati sul primo trimestre di gravidanza, sul quale dovranno far luce i progetti di ricerca che però sono già in corso.
Altri strumenti a disposizione per combattere l’incertezza del futuro sono quelli che consentono alle neomamme di sentirsi “più preparate”, che in tempi più fortunati sarebbero stati forniti dai corsi di accompagnamento alla nascita. La tecnologia corre in aiuto: girando sul web è possibile trovare corsi di ogni tipo (anche gratuiti) che offrono la possibilità di ricevere un supporto ostetrico – ginecologico rispetto a vari aspetti della gestazione: la fase del travaglio, la fase espulsiva, la preparazione della valigia, l’allattamento. Molte Asl o Associazioni presenti sul territorio offrono la possibilità di conoscere da vicino gli ambulatori della sala parto del proprio ospedale e gli spazi appositamente riservati alle gravide positive al Covid19, nonché tutte le nuove procedure adottate per la degenza durante questa pandemia.
Ma non sempre le soluzioni pratiche rappresentano l’unica pillola da assumere per diminuire l’ansia e lo sconforto. Queste emozioni vengono alimentate anche dall’altra faccia della medaglia: l’incapacità di prevedere tutto e l’impossibilità di avere certezze sugli esiti futuri. Essere supportate su questo aspetto ha l’importante funzione di ridurre la vulnerabilità della donna in dolce attesa e il rischio di sviluppare psicopatologie a breve e a lungo termine.
Dagli sviluppi nello studio della salute mentale in gravidanza e nel puerperio emerge che circa il 40% delle donne che soffrono di depressione post-partum hanno ottenuto un analogo valore riferito al periodo gravidico (Heron et al., 2004). Ricerche recenti segnalano l’importanza dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) per il trasmettersi al feto degli effetti di una condizione di forte stress della madre. Un disturbo depressivo o di ansia può infatti non solo attivare l’asse HPA materno, ma può anche aumentare il rilascio di corticotropin releasing hormone (CRH) dalla placenta comportando un’interferenza sul parto stesso inducendolo. È inoltre ipotizzabile che una condizione depressiva possa alterare l’escrezione di ormoni vasoattivi con effetti vasocostrittivi sulla circolazione placentare e di conseguenza comportare un ridotto accrescimento fetale e basso peso alla nascita (Kurki et al., 2000).
La gravidanza, per i profondi cambiamenti biologici, psicologici e sociali che comporta, può così rappresentare un importante fattore di stress ed essere quindi considerata già di per sé un agente eziologico per l’insorgenza di disturbi psicologici in soggetti vulnerabili. In altre parole, lo stato emotivo con cui si affronta la gravidanza è un elemento favorente condizioni di scompenso psicopatologico in donne già vulnerabili.
I quadri clinici che più̀ frequentemente si riscontrano nel periodo gravidico sono i disturbi d’ansia e i disturbi dell’umore con i primi che si rilevano in circa il doppio dei casi rispetto ai secondi (Brockington et al., 2006).
Se a questa vulnerabilità aggiungiamo quella indotta dalla diffusione del Covid19, capiamo quanto risulta indispensabile una stretta collaborazione fra Psicologia e Ostetricia/Ginecologia ancor più in questi tempi.
È fondamentale affrontare la sofferenza emotiva fin dalle prime fase della gravidanza e legittimarsi il bisogno di sentire alcune emozioni, riconoscerle e condividerle anche attraverso un percorso di Psicoterapia. Su questo piano, sono diversi i professionisti che continuano a svolgere Psicoterapia on- line offrendo vari trattamenti che consentono di sentirsi meno sole, meno deboli, meno vulnerabili e più competenti, sia nel periodo della gestazione che nel postparto.
Se è vero che avremmo sperato di regalare ai nostri figli un mondo migliore, è pur vero che loro sono il simbolo della rinascita e la certezza che la Vita conosce bene la strada da percorrere.
Concludo facendo un augurio sincero e di cuore a tutte noi.
Scritto da: Giada Costantini