Resilienza e kintsugi: con l’antica arte giapponese si ripara un oggetto rotto, riconoscendone il valore. Allo stesso modo possiamo curare le nostre ferite
Analogamente al lavoro di cesello svolto dall’artigiano esperto di Kintsugi che ricostruisce un oggetto assemblando le parti rotte, evidenziando le incrinature e creando una nuova forma ancora più forte della precedente, l’individuo può compiere un lavoro su se stesso sviluppando la propria capacità di resilienza e trasformando le proprie ferite in punti di forza in un percorso di superamento.
Il Kintsugi è un’antica arte giapponese di riparazione degli oggetti che hanno subito una rottura con una lacca (urushi) per saldarne i frammenti e la successiva copertura e messa in rilievo delle crepe con polvere d’oro. I termini “kin” (oro) e “tsugi” (riparazione) indicano pertanto la tecnica di “riparare con l’oro”; un procedimento lungo e complesso che si svolge in più fasi e che richiede estrema precisione, un vero e proprio lavoro di cesello. L’oggetto sottoposto al restauro risulta impreziosito e assume un carattere di unicità divenendo una vera e propria opera d’arte nella quale le crepe, che in precedenza erano punti fragili da nascondere, vengono invece valorizzate con l’oro.
Solitamente quando si rompe un oggetto il primo impulso è quello di disfarsene. L’arte del Kintsugi ci insegna invece a cambiare il punto di vista, ossia accettare le spaccature addirittura esaltandole, seguendo una forma di pensiero creativo che ci porti ad abbracciare soluzioni nuove, diverse, al di fuori dell’usuale area di comfort. Il risultato è che l’intervento di riparazione non sminuisce il valore dell’oggetto, ma lo rende addirittura più prezioso.
L’arte del Kintsugi risale al quindicesimo secolo ed è associata alla figura storica di Ashigaka Yoshimasa (1435-1490), ottavo shogun dell’epoca Muromachi. Durante il suo governo il Giappone vide la nascita di un movimento culturale ispirato alla filosofia zen, alle cui origini risale anche la cerimonia del tè. Narra la leggenda che durante il cerimoniale del tè si ruppe la preziosa tazza utilizzata da Yoshimasa il quale incaricò i suoi artigiani di ripararla in modo che mantenesse inalterata la sua bellezza. Gli artigiani decisero allora di dare risalto alle crepe della tazza con resina e polvere d’oro anziché nasconderle e il loro intervento di riparazione diede origine all’arte del Kintsugi. Tale forma di arte si inserisce nella concezione giapponese del Wabi-Sabi:
Wabi = la meraviglia di fronte alla natura e Sabi = l’accettazione della transitorietà delle cose.
Il Wabi-Sabi ci invita ad assumere un atteggiamento contemplativo, ad apprezzare la bellezza delle cose semplici, transitorie e imperfette, rese uniche dal segno lasciato dal tempo.
Il Kintsugi non è semplicemente una tecnica di restauro. Esso ci rimanda un forte valore simbolico nella misura in cui rappresenta la metafora delle fratture e dei cambiamenti che l’individuo può trovarsi ad affrontare nel corso della propria esistenza. Così come il Kintsugi consente il recupero e la valorizzazione di un oggetto rotto, analogamente l’individuo può compiere un percorso di superamento e di guarigione delle proprie ferite interne, divenendo orgoglioso di mostrare le cicatrici che testimoniano il suo vissuto in un processo di rinascita.
Tale metafora è descritta sapientemente da Massimo Recalcati in relazione all’esperienza del perdono nel suo libro Mantieni il bacio:
Nell’arte del Kintsugi vediamo in atto una straordinaria operazione: il vaso è ancora quello di prima anche se non è più quello di prima. Ha cambiato immagine, è un altro vaso, eppure è costruito sui resti del vaso rotto. Nonostante il trauma della sua rottura, grazie alle mani sapienti del vecchio artigiano è divenuto l’occasione per una nuova creazione. I punti di rottura sono stati dipinti d’oro; le cicatrici sono divenute poesie. In questo senso l’esperienza del perdono è un’esperienza di resurrezione. L’amore che pareva morto, finito, gettato nella polvere, senza speranza, ritorna in vita, ricomincia, riparte.
Il Kintsugi può rappresentare la metafora di un percorso psicoterapeutico: l’individuo che può sentirsi letteralmente “a pezzi” riesce ad acquisire gradualmente consapevolezza delle proprie ferite interne, inizia ad accettarle e se ne prende cura, sviluppando nuovi significati da attribuire agli eventi. La rielaborazione del proprio vissuto che avviene durante questo percorso può essere usata come punto di partenza per un nuovo ciclo.
Analogamente al lavoro di cesello svolto dall’artigiano esperto di Kintsugi che ricostruisce un oggetto assemblando le parti rotte, evidenziando le incrinature e creando una nuova forma ancora più forte della precedente, l’individuo può compiere un lavoro su se stesso sviluppando la propria capacità di resilienza e trasformando le proprie ferite in punti di forza in un percorso di superamento.
La presa di coscienza del dolore è il primo passo per prendersi cura delle proprie ferite perchè se ci si limita a mascherarle o a nasconderle potrebbero prima o poi riaprirsi. La scelta di guarire richiede tempo e impegno e il risultato, strato dopo strato, assume gradualmente forma.
Scegliere di aggiustare un oggetto danneggiato non implica solo il riconoscimento del suo valore, ma significa anche sviluppare un atteggiamento di cura e di attenzione verso se stessi. Analogamente quando si decide di riprendere in mano la propria vita dopo che ci si è sentiti “spezzati” dal dolore, la propria autostima ne risulta accresciuta poiché si è consapevoli di aver superato delle prove, delle difficoltà, di aver raggiunto un obiettivo, di avercela fatta. Le ferite esibite diventano una sorta di “medaglia d’oro” con cui celebrare il proprio percorso fatto anche di fratture, di dolori e di cambiamenti che inevitabilmente fanno parte dell’esistenza di ognuno.
L’arte del Kintsugi richiede grande pazienza: la riparazione, passo dopo passo, prende lentamente forma. Anche nella vita sono necessari numerosi passaggi per imparare la lezione, spesso risulta necessario ricominciare daccapo e avere il coraggio di variare gli schemi ricorrenti. Può risultare un processo lungo, lento e talvolta scoraggiante, ma attraverso le prove e i tentativi si va comunque avanti, anche quando si ha l’impressione di essere rimasti fermi al punto di partenza.
Poi un giorno tutto assume una connotazione di maggiore chiarezza, si iniziano ad intravedere dei progressi, dei risultati, tutto alla fine diventa più chiaro e si inizia a concepire una rinnovata visione delle cose.
In conclusione: il Kintsugi è una lezione di vita. Ci insegna ad abbracciare le nostre ferite anziché rimuoverle, a trasformarle in punti di forza “ricoprendole d’oro” poiché esse rappresentano una testimonianza del nostro passato e delle prove superate, in un percorso che ci narra di storie di rinascita, di resilienza e di esperienze che possono alimentare la crescita personale.
Solo quando ci rompiamo, scopriamo di cosa siamo fatti. (Ziad K. Abdelnour)
Scritto da: Arianna Grazzini