Nelle relazioni, giungiamo spesso ad un momento in cui viene messo in discussione “l’altro”, perchè diventato “improvvisamente diverso da prima”. Siamo certi che sia davvero così?
Riflettevo in questi giorni su un aspetto, che sempre più spesso mi trovo ad affrontare con i miei pazienti, ma anche nella vita quotidiana.
La maggior parte dei nostri malesseri, delle nostre insoddisfazioni, deriva da relazioni personali che ad un certo punto “si trasformano” e sembrano diventare qualcosa di molto diverso da prima. Che si tratti del marito/moglie, del/la fidanzato/a, dell’amico o della collega di lavoro, sembra che da un certo momento in avanti l’ingranaggio si modifichi e gli incastri che prima facevano girare bene la ruota, si inceppino.
Quando iniziamo a percepire questo “disallineamento”, iniziamo a sentirci insoddisfatti, nervosi, frustrati dal fatto che prima girava tutto bene, e ora…? Perché non più? Possono manifestarsi sintomi come ansia e attacchi di panico o più semplicemente insonnia, mal di stomaco, nervosismi che si traducono anche in alimentazione incontrollata o consumo elevato di bevande alcoliche.
Cosa succede poi? Che in molti casi, iniziamo a percepire l’altro come “cambiato”, ostile, “diverso” da ciò che era prima. Almeno secondo noi. E questo non fa altro che esacerbare ulteriormente i nostri malesseri emotivi e fisici.
Molto più raramente ci soffermiamo a riflettere su di noi, su come forse anche noi siamo diversi, abbiamo percezioni, pensieri o esigenze diverse. Legittimi.
In qualche caso, parlando con l’altro, si ottiene un bel confronto costruttivo, nel quale entrambi ci si rimette in gioco per trovare un “nuovo allineamento”, un nuovo incastro che faccia ripartire l’ingranaggio in maniera di nuovo funzionale.
Ma nella maggior parte delle volte, ci troviamo a discutere con chi, in quel momento, sentiamo distante, chiedendo cambiamenti e trasformazioni, che facciano ripristinare il precedente equilibrio. Senza troppo focalizzarci su di noi, ma concentrando la nostra attenzione solo su ciò che l’altro “non è più”.
Inconsapevolmente, ci mettiamo nella posizione salda e potente di chi sta subendo una condizione (il cambiamento improvviso o inaspettato di altri), di quello ferito, di quello tradito. Di quello impotente. E ci stiamo per mesi, anni. Aumentando sempre più nervosismi, frustrazioni, ogni volta che ci diciamo “ma perché, se prima era così, ora è diventato cosà e non capisce che deve tornare così?”.
So che molti di voi, leggendomi ora, non si ritrovano nella descrizione, perché sembra la descrizione di una persona egoista e presuntuosa, che vuole manovrare gli altri come fossero burattini.
Sto estremizzando, ma in realtà è un meccanismo in cui cadiamo tutti.
Nel lavoro, è frequentissimo, ad esempio. Per settimane o mesi ci innervosiamo perché il collega ha cambiato atteggiamento o il titolare fa scelte che non comprendiamo e riteniamo assolutamente in contrasto con quel che avremmo immaginato. E per mesi sbattiamo la testa contro lo stesso muro, tenaci nella nostra posizione di giudizio. Non ci fermiamo quasi mai a riflettere su di noi. Non per cercare difetti, ma per capire come mai, quello che prima andava bene, ora non va più bene A noi.
Perché quel che prima era un rapporto costruttivo e collaborativo, ora non lo è più.
Certo, tutti cambiamo ed evolviamo nella nostra vita. Cambiamo noi e cambiano i nostri pensieri o le nostre esigenze. Ma allo stesso modo cambiano gli altri, le loro esigenze, i loro pensieri. E hanno tutto il diritto di farlo, così come noi.
Non per forza, quindi, è sbagliato il loro cambiamento. E non è nemmeno sbagliato che a noi non piaccia più l’ingranaggio attuale.
Ma anziché focalizzarci su discussioni in cui il punto è “Perché tu non fai più questo? Perché ora la pensi in questo modo?”, dovremmo fare anche il passaggio successivo, che è chiederci “Perché a me sembra diverso il suo comportamento? Perché non lo sento più corretto e giusto? Cosa voglio fare io in questa nuova relazione? Voglio cambiare io? Voglio trovare un incastro diverso per me, che faccia sì che l’altro, così come è ora, sia ancora compatibile? Oppure questo incastro non funziona proprio più?”.
C’è un momento in cui è giusto e necessario cercare un confronto costruttivo in cui si indagano motivazioni e ragioni di cambiamenti ed evoluzioni. Ma c’è anche il momento in cui ci si ferma e, senza pretendere che gli altri diventino come vorremmo noi, dobbiamo prendere consapevolezza di ciò che noi desideriamo da lì in avanti.
Non possiamo immaginare una evoluzione in cui l’altro si plasma a nostro piacimento.
Non è giusto, non è corretto e non sarebbe comunque funzionale. Dobbiamo capire fin dove ciascuno è pronto e disponibile, in maniera volontaria, ad una collaborazione nuova e diversa. Ma anche accettare che l’altro possa voler rimanere esattamente così com’è. Gli altri non devono cambiare per noi. Così come noi non dobbiamo farlo per gli altri.
Nella libertà assoluta di ciascuno di essere se stesso, dobbiamo saper accettare anche i cambiamenti che portano a distanze maggiori, anche se non è ciò che vorremmo. Rispettare gli altri significa anche questo: lasciare che le loro evoluzioni procedano, rischiando di ritrovarci incompatibili magari un giorno, ma “noi stessi”.
Costringere gli altri a diventare quel che a noi serve, è profondamente sbagliato. E anche se dovessimo ottenere inizialmente ciò che vogliamo, arriverà un giorno in cui l’illusione svanirà e ci verrà presentato il conto di una frustrazione subìta e della conseguente rabbia scatenata da chi si è sentito “costretto” o “manipolato” ad essere ciò che non era.
Quando raggiungiamo questa consapevolezza, quando siamo finalmente pronti a capire qual è il punto di vista da cui osservare una relazione che sentiamo cambiata, allora è il momento giusto per diventare davvero costruttivi: verso noi stessi e la nostra maturazione, verso gli altri e le nostre relazioni.
In quel momento dobbiamo iniziare il percorso di ricerca interiore, focalizzandoci su di noi prima di tutto, per poi esplorare i punti di vista altrui e capire qual è la giusta scelta da fare.
Le cose che funzionano veramente bene sono quelle che funzionano secondo la loro natura.
Che si tratti di un fiore, che si tratti di una persona, che si tratti di un rapporto…se le corde suonano in maniera naturale e libera, suonano bene anche se stonate.
Finché risultare stonati è una libera scelta, lo strumento funzionerà.
E saper accogliere anche le stonature dell’altro, anche se fanno risultare il nostro suono un po’ stridulo, è la più grande forma di libertà e di forza che si possa raggiungere.
Scritto da Dott.ssa Serena Brunelli