Il tocco è la prima forma di comunicazione che possediamo. È un importanze mezzo per veicolare le emozioni, per imparare ad essere consapevoli delle proprie e di quelle degli altri.

 

“Lo sento a pelle”. A quanti di noi sarà capitato di affermare o pensare questo? Ebbene, nonostante si possa pensare che tale affermazione non abbia basi solide, scientifiche per meglio dire, su cui impostare una valutazione, oggi possiamo affermare che questo non è del tutto vero. Una molteplicità di dati della letteratura scientifica ci dice il contrario, e cioè quanto il tocco possa influenzare scelte e opinioni di tutti noi, ma andiamo per gradi.

Il senso del tatto è, tra i cinque in nostro possesso, il più esteso in termini di superficie corporea, servendosi della pelle come canale di conduzione, nonché il primo a svilupparsi in utero. “Il tocco dice sempre la verità” scriveva Margret Atwood, per rendere l’idea dell’importanza di questo senso come mezzo di comunicazione.

Il tocco a cui ci riferiamo però non è solo quello attivo (del toccare qualcosa), ma quello passivo, come una carezza ricevuta. La differenza è che oltre a fornirci informazioni sull’ambiente esterno, come gli altri sensi, questa tipologia di tocco ci mette in contatto con noi stessi e le nostre sensazioni (benessere/malessere). Il tocco viene infatti definito come organo sociale, proprio per le implicazioni affettiva che ha; basti pensare alle relazioni tra partners. È stata infatti dimostrata l’esistenza di fibre nervose sotto la pelle che sono deputate alla trasmissione di proprietà emozionali e affettive.

Cosa vuol dire? Che esistono dei recettori che ci fanno percepire piacevolezza se stimolati e questo poi ci influenza inevitabilmente a più livelli. La sollecitazione di questi recettori stimola infatti l’area del cervello implicata nei meccanismi affettivi. Queste scoperte hanno senz’altro interessanti ripercussioni a livello sociale: si è infatti ipotizzato che la stimolazione di questi recettori attraverso il “tocco gentile” porti al rafforzamento di legami sociali e romantici, ci porti cioè ad essere più propensi alla socialità e a giudicare più piacevole un’altra persona. È quindi plausibile definirla come una forma primaria di relazione, è vitale per lo sviluppo del cervello e per la regolazione delle emozioni durante l’infanzia; del resto già da neonati le carezze della mamma veicolano emozioni piacevoli, sicurezza, calore e ci permettono di entrare in contatto con lei e con il mondo esterno. Due diversi sperimenti, per esempio, hanno dimostrato tali ripercussioni sociali:

  1. Nel primo (Fisher) gli impiegati di una biblioteca dovevano accarezzare, quasi casualmente ed in modo appena percepibile, la mano degli studenti nella restituzione dei documenti; i ricercatori hanno scoperto che la valutazione degli impiegati della biblioteca, da parte degli studenti, era più favorevole nel caso in cui l’impiegato della biblioteca li aveva toccati “accidentalmente”. Il dato ancor più interessante è che questo effetto è avvenuto nonostante il fatto che nessuno degli studenti ricordasse di essere stato toccato.
  2. Nel secondo (Wetzel) veniva chiesto al/lla cameriere/a di toccare la mano o la spalla del cliente nel portare il conto al tavolo. Sempre in maniera quasi accidentale. I risultati? Mance più alte nel caso dei clienti toccati (indipendentemente dal sesso di cliente e cameriere).

Questi dati dimostrano come la piacevolezza (consapevole o no) data da una carezza influenzi positivamente i nostri giudizi e i nostri comportamenti nei confronti degli altri. Il tocco è quindi un potentissimo mezzo per comunicare le nostre emozioni in maniera diretta e spontanea, per metterci in contatto con l’altro e col mondo, per sviluppare e consolidare tali contatti. Il solo tocco permette, a chi lo riceve, di decodificare correttamente l’emozione che si intende trasmettere, risulta quindi utile anche nella consapevolezza emozionale propria e altrui. La semplice stretta di mano può smorzare la tensione all’inizio di un incontro importante; una pacca sulla spalla può confortare prima di un esame, e così via. Il contatto si configura quindi come un modo per trasformare la vicinanza in dialogo e comunicazione non verbale.

Il contatto fisico è una necessità primaria per l’essere umano, al punto che per l’astinenza vi è un termine specifico: “Skin Hunger” (Fame di Pelle). Oggi più che mai, dopo un momento storico di necessario distanziamento sociale imposto a salvaguardia della nostra salute, riflettiamo su quanto ci sia mancato quel contatto con le persone che amiamo, quella carezza, quello stringere le mani.

Questa è una componente che troppo spesso viene sottovalutata, data per scontata, ma che da quando ne siamo stati privati -a causa delle circostanze straordinarie- esplode in tutta la sua potenza emotiva e comunicativa, facendocene avvertire l’assoluta nostalgia. Le ripercussioni di questa mancanza di contatto sono rilevanti e riguardano per esempio l’aumento dello stress e dell’insonnia, le ricadute sul nostro umore, fino anche alla depressione. Il tocco della pelle invero abbassa i livelli di stress, stimolando il rilascio di ossitocina e serotonina (comunemente chiamati “ormoni della felicità” proprio perché la loro assenza diminuisce i livelli di benessere dell’organismo). Quanto ci appare di conforto, adesso, l’abbraccio di un amico o la carezza di un familiare? E quanto, a nostra volta, abbiamo desiderato dimostrare tutta la nostra vicinanza, la nostra gioia, stringendo tra le braccia una persona cara? Che questa possa essere allora un’occasione per comprendere le potenzialità e l’importanza del contatto sociale, di una carezza, di una pacca sulla spalla, che comunicano i nostri sentimenti e ci tengono uniti in sani e positivi rapporti sociali, umani. Torneremo, pian piano, ad abbracciarci di nuovo e forse con più consapevolezza.

Scritto da: Dott.ssa Elisabetta Lacava