L’emergenza coronavirus ha comportato un’improvvisa e necessaria accelerazione verso la digitalizzazione di interi settori delle nostre vite. E chi resta indietro?

– Pubblicato il: 20 marzo 2020

Da un giorno all’altro le nostre vite sono cambiate. Non solo perché siamo chiusi in casa, dolentemente nostalgici di una passeggiata, ma anche perché assistiamo a una accelerazione verso il digitale tumultuosa, imprescindibile e difficile da evitare.

I pazienti si vedono in Skype o Facetime o altrove e -devo dire almeno come esperienza personale- senza alcuna difficoltà. Immagino che come psicoterapeuta cognitivista per me forse è più facile, si ragiona su problemi, su storie e su soluzioni. Forse la sparizione del lettino dal mio mondo ha reso le cose più semplici. O forse no, anche i colleghi psicodinamici si staranno adeguando rapidamente.

Quelle lezioni online della scuola di psicoterapia che il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) ci aveva severamente negato ora sono state parzialmente concesse. A quanto pare ci si è ravveduti e sarebbe bello ragionare con il MIUR sui motivi del precedente no. Bello ma in fondo inutile e quindi passiamo al concreto: abbiamo spostato le lezioni sulle piattaforme Zoom, Hangout, Teams e così via. Le Scuole, le Università, gli incontri di lavoro, tutto è ora sul digitale perché in questo modo si sta tentando di ridurre i danni di questo blocco improvviso delle nostre vite. Le persone si adattano e reagiscono in maniera molto più rapida e agile delle infrastrutture: la rete è a rischio di collasso in Italia e si sta per chiedere a Netflix di togliere l’alta definizione. Il clamoroso e improvviso aumento di domanda sta già mettendo in ginocchio la connettività.

Questo spostamento si può fare e devo dire che è anche pieno di vantaggi. Sulle piattaforme online si può concedere la parola e moderare il dibattito e al tempo stesso mantenere più controllo durante l’esposizione degli argomenti riducendo le interruzioni fino a quando non si decide di aprire la discussione. Ci si concentra di più sulle cose da dire perché si è meno condizionati da quegli incontri tra occhi che tanto colorano le nostre vite nelle classi ma che anche ingolfano lo scambio didattico. È una perdita di contatto umano, ma è anche una perdita di concentrazione. Insomma, se bene organizzato questo passaggio sembra fattibile. Addirittura utile. Stava già accadendo ma a velocità molto minore, perché poi noi umani ci sentiamo bene quando ci concediamo due chiacchiere tra una riunione e l’altra.

Ci sono però alcuni problemi.

Innanzitutto anche chi vuole misurarsi come me fa una fatica indiavolata a padroneggiare la tecnologia alla velocità in cui essa è caduta nelle nostre vite. Sono lezioni faticose, personalmente ne esco stremata. Sarà l’età. Poi le lezioni devono cambiare, per garantire che vi sia comunicazione partecipata il passaggio dal teorico al pratico e al dialogo con gli allievi deve essere molto più frequente e ben organizzato. Sono lezioni profondamente diverse.  Che hanno un buon risultato solo se si sa fronteggiare la complessità sempre crescente del mezzo tecnologico. Se prima agli allievi bastava la piattaforma comune, ora hanno bisogno delle “stanze” in cui potere organizzarsi in piccoli gruppi di esercitazione e nelle quali noi docenti si possa entrare o uscire agilmente. Insomma in due, tre settimane l’uso del digitale ci ha messo davanti a un cambiamento che corre a forte velocità. Poi alla fine della lezione in cui ci hanno ringraziato, noi docenti ci sentiamo soli e ansiosi per un feedback digitale che arriverà dopo qualche giorno ma non avrà l’immediatezza umana di un sorriso o di una domanda curiosa.

Poi ci sono i colleghi che comprensibilmente non hanno il desiderio di fare questo salto, troppo impegnativo e faticoso, o che lo desiderano ma quando ci sono in mezzo creano tali e tanti guai e inciampi tecnici con le loro manine impazzite sulla tastiera da mettere a dura prova la pazienza degli informatici che li assistono. E poi ci sono colleghi con computer un po’ obsoleti ai quali usare Hangout sembra una sfida stellare. Mi verrebbe da dire che sono affezionati al vecchio computer perché glielo ha regalato la nonna. È probabile che i motivi di queste difficoltà possono essere legati anche a dove si vive: se sono recluso in campagna o sui monti probabilmente la mia capacità di accesso a un segnale di rete efficiente sarà limitata.

Ma i motivi possono essere anche soltanto psicologici: “ho troppa ansia”, “temo di sbagliare”, “per una mia lezione non ne vale la pena”, “da quando sono a casa non riesco a concentrarmi su nulla” e così via. E così alcuni possono avere la tentazione di rimandare le loro lezioni, vorrebbero tornare di corsa al mondo di prima, che temo non tornerà più.

Queste persone che lasciamo indietro, dove stanno rimanendo? Secondo me non è un affare da poco. Perché, checché ne dica il mio caro informatico che entra nel mio computer e lo gestisce insieme a me aiutandomi, questo aggiornamento riduce il rischio di isolamento ma lascia alcune persone indietro. E chi rimane indietro -in un mondo che sta correndo verso il virtuale a questa velocità- sarà veramente più solo, meno sapiente, meno capace di capire il cambiamento e arricchirsi di quello che sta succedendo. E meno capace di difendersi dalle implicazioni sociali e personali della malattia.

Vedo poca attenzione su questo, si dà per scontato che tutti ce la faranno a correre dietro al cybermondo, ma occorre fare uno sforzo molto maggiore nel portarci le persone, anche le più riluttanti. Se non avessi quasi 70 anni, se fossi una informatica, se ne avessi le capacità didattiche questo è quello che farei adesso: agganciare tutti, ma proprio tutti, anche i più restii alla corsa informatica che sta cambiando in poco tempo il nostro mondo. Portarmeli dietro, e sarebbe un vantaggio per tutti. Per loro che saranno sempre più soli, probabilmente anziani, facilmente vulnerabili, ma anche per noi che con questa infelicità e con questi ritardi emotivi, sociali, fisici e psicologici dovremmo fare i conti.

Scritto da: Sandra Sassaroli

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