La gelosia può essere letta come un mancato raggiungimento della “costanza dell’oggetto”, indispensabile per sopportare la lontananza dell’oggetto d’amore

 

La gelosia è spesso un autorifiuto distruttivo, un’avversione rivolta a parti di sé che non verranno elaborate poiché la responsabilità di ogni dolore sarà attribuita al partner. Come in ogni profezia che si autoavvera, il partner potrebbe scegliere di rompere il legame per un’altra relazione, il che da un lato solleverà il soggetto geloso dal confronto con quelle parti di sé, dall’altro rafforzerà, davanti al fallimento, il suo odio per se stesso.

Paola è esasperata: vede rivali dappertutto. Viene da me in studio con l’obiettivo di guarire con la psicoterapia dalla sua gelosia divorante, che sta allontanando da lei il suo amato.

Ha 31 anni, lavora in uno studio di commercialisti e convive con Massimo, avvocato. Mi appare devastata e profondamente addolorata. Mi racconta di essere sempre stata gelosa, ma mai come col fidanzato attuale (che ama moltissimo). Attraversa stati di ansia insostenibili se Massimo non le risponde in tempi brevi al telefono, o se dai resoconti emerge della giornata che lui ha interagito con colleghe o clienti donne. A quel punto l’angoscia è così forte che Paola lo sottopone ad interrogatori lunghi ed estenuanti sul tipo di interazione, sulla bellezza di queste presunte “rivali”e su eventuali percezioni o vissuti del compagno. Massimo la rincuora su quanto la ama e sull’irrazionalità delle sue illazioni, ma non sembra mai abbastanza per placarla. Paola ha anche creato un finto account Instagram tramite cui monitora le ragazze che hanno espresso apprezzamenti alle foto del suo compagno e controlla ossessivamente i contenuti pubblicati da tali ragazze alla ricerca di indizi di possibili scambi tra queste e Massimo (come apprezzamenti da parte di lui alle loro foto o commenti). Negli ultimi tempi Massimo ha cominciato ad arrabbiarsi per quelle che lui ritiene “aggressioni e paranoie inutili” e le appare più distante e stanco. Ovviamente, questo rende Paola sempre più insicura e spaventata dall’idea di una possibile donna a cui lui si potrebbe avvicinare in questo momento di delusione, non realizzando che l’unica “nemica” del loro rapporto in questo momento è lei stessa, o meglio, la parte di lei così profondamente insicura e gelosa. Come obiettivo non ci poniamo tanto l’eliminazione dell’aggressività verso il partner, quanto di lavorare su quella che nutre verso se stessa. Perché la gelosia è spesso un auto rifiuto distruttivo, un’avversione rivolta a parti di sé che non verranno elaborate poiché la responsabilità di ogni dolore sarà attribuita al partner. Come in ogni profezia che si autoavvera, il partner sceglierà probabilmente di rompere il legame per un’altra relazione, il che da un lato solleverà il soggetto geloso dal confronto con quelle parti di sé, dall’altro rafforzerà, davanti al fallimento, il suo odio per se stesso.

Sulla gelosia si è interrogato già Freud (1923), che rintracciava questo sentimento nella fase edipica del bambino, che anela all’attenzione e all’amore del genitore del sesso opposto e vive l’altro genitore come “rivale”.

Secondo la Klein (1969), il neonato sviluppa due immagini della madre: quella idealizzata che lo soddisfa (il “seno buono”) e che vorrebbe possedere, e quella odiata che non risponde ai suoi bisogni (il “seno cattivo”) e che si vorrebbe distruggere. Successivamente, il bambino impara a riunificare le due parti in un “oggetto intero” e, volendolo avere tutto per sè, diviene geloso. Secondo Klein e Riviere (1969), la gelosia è collegata al bisogno di accumulare prove e rassicurazione d’amore contro il vuoto interno e gli impulsi distruttivi.

La gelosia sembrerebbe collegata anche al processo che la Mahler (1978) descrive come differenziazione dalla madre: il bambino attraversa 4 fasi per arrivare alla separazione e individuazione che gli consentono di percepire la sua indipendenza come individuo. L’ultima fase, la “costanza dell’oggetto” (intorno ai 3 anni), è quella grazie a cui il bambino si sente veramente separato dalla madre perchè ha di lei una rappresentazione stabile e interna che gli permette di sopportarne la lontananza. La gelosia quindi potrebbe essere letta come un mancato raggiungimento di questo quarto stadio, che consentirebbe di acquisire la percezione della “costanza” dell’oggetto d’amore dentro di sè (quindi la consapevolezza che il caregiver esiste e tornerà, anche se al momento può essere assente fisicamente). La persona gelosa si sente infatti in pericolo se l’oggetto del desiderio è lontano e non controllabile.

Diversi studi (Buunk, B.P., 1997; Kirkpatrick D.J. e L.A., 1997) confermano che la gelosia dell’adulto è correlata a un attaccamento insicuro nell’infanzia. Tale costrutto (Bowlby, 1989) si riferisce a bambini che non hanno avuto un attaccamento sicuro con la figura di accudimento, ovvero sentivano che i loro bisogni non erano del tutto considerati o soddisfatti. Questo comporta che il bambino diverrà un adulto costantemente preoccupato dall’idea di non essere importante o di subire un abbandono. Questo perchè questo adulto non è in grado di separarsi da ciò di cui ha ancora bisogno, ovvero dell’accettazione incondizionata che non ha mai sperimentato.

Paola talvolta sembra una bambina che ha paura che il suo adorato giocattolo le venga rubato da un momento all’altro da un bambino prepotente. Andando alle origini della sua storia, emerge un forte vissuto di rivalità verso il fratello, Ruggero, ai suoi occhi il “preferito” di entrambi i genitori. Di 5 anni più grande, sembra essere stato un bambino particolarmente brillante (molto bravo e popolare a scuola) e parecchio rinforzato e ammirato dai genitori. Paola descrive Ruggero come “un uomo di successo a cui non manca nulla”: lavora in banca ricoprendo un ruolo di grande responsabilità, colleziona macchine sportive e proprietà immobiliari. Tendenzialmente non ha relazioni stabili ma frequentazioni saltuarie e leggere. Servendoci anche dell’EMDR, lo strumento psicoterapico che favorisce l’elaborazione di eventi dolorosi attraverso la stimolazione bilaterale degli emisferi cerebrali, rintracciamo una serie di eventi del passato di Paola che sembrerebbero aver avuto forti ripercussioni sulla sua crescita e dunque sul suo presente.

In particolare un ricordo mi colpisce: ha 8 anni, i suoi genitori devono accompagnarla a una festa pomeridiana con i compagni. Paola, felice di essere stata invitata, si addormenta dopo pranzo e, quando si sveglia, ormai è tardi: la festa è finita. I suoi avevano dimenticato di accompagnarla perchè erano troppo coinvolti da uno spettacolino che aveva improvvisato Ruggero, allora di 13 anni. La cognizione negativa che Paola associa a tale protocollo EMDR è “io non sono abbastanza”. L’immagine che mi arriva dritta al cuore è quella di una bambina non vista.

Dalla sua storia emerge anche una forte conflittualità col padre. Quello che inizialmente mi descrive come un “cattivo rapporto” si rivelerà nel corso della terapia un grande amore che non ha mai sentito ricambiato e che ha sepolto sotto chili di rabbia e dietro un apparente “buon rapporto” con la madre. Ma il vero oggetto d’amore conteso (soprattutto col fratello) mi appare sempre più lui, il papà.

Con Paola lavoriamo sul vissuto di inadeguatezza e sul darsi valore, quello che non ha sentito riconosciuto dai suoi genitori (in un quadro più ampio di attaccamento insicuro). Per vivere la vita che vuole, non quella che si è ritagliata rassegnandosi alla presunta inferiorità nei confronti del fratello. Valutando anche che, forse, quella del fratello non è neppure la vita che Paola vorrebbe. Lavorando su questo, durante una seduta mi dirà: “ho passato così tanto tempo a odiare mio fratello, a sognare di essere come lui e di avere quello che ha lui, che non mi ero mai chiesta se veramente il suo modo di essere e di fare mi piace”.  Il modo di vedere Riccardo cambierà e riuscirà a sentirlo come una persona che ha eccessivamente subìto pressioni e proiezioni dei genitori, probabilmente non vivendo nemmeno lui la vita che voleva. Questo porterà a un loro lieve avvicinamento.

Durante la terapia lavoriamo sulla sopracitata “costanza dell’oggetto”, ovvero sul percepire l’Altro come oggetto separato da sé, all’interno di una relazione che rimane integra anche quando la persona è lontana. Per abbandonare la scissione in “parte buona” (che soddisfa il bisogno di conferme) e “parte cattiva” (che non risponde immediatamente o frustra i bisogni di gratificazione) e abbracciare l’”intero”.

Sciogliendo nodo dopo nodo, Paola sarà sempre più libera dalle ansie che lei investiva sul compagno, ma che in realtà riguardavano lei, il suo mondo interno e il suo modo di vivere la relazione. Tanto che, a un certo punto, si licenzia dallo studio di commercialisti (branca probabilmente scelta per assomigliare un po’ al fratello) e diventa educatrice cinofila: un lavoro che la appassiona. Paola finalmente si sente adeguata, rispetto al suo lavoro e non solo. L’ansia dirottata sul compagno, i suoi sospetti irrazionali e la sua fame insaziabile di conferme sono notevolmente diminuiti, con conseguente miglioramento della relazione con Massimo. Ad oggi la vedo per un follow up ogni 1-2 mesi attraverso sedute di terapia online (via Skype).

Una delle sessioni di ipnosi fatte insieme che più restituisce il senso del nostro intenso e soddisfacente lavoro nel riparare ai suoi “buchi di identità” è quella in cui Paola ha immaginato di trovarsi nella sua cameretta da bambina (nella casa in campagna): pettinava una bambola e le cuciva un vestitino grazioso togliendole i vestiti vecchi che indossava. Nel corso di questa fantasia guidata, ha immaginato la bambola così felice da prendere vita e partire, uscendo dalla porta di casa per addentrarsi libera e spensierata nella bellissima campagna intorno alla casa.

Anche Paola adesso è libera e lontane mi suonano le parole di disperazione con cui si confrontava con le sue presunte “rivali” in amore. Parole che mi ricordano i versi tristi e potenti di Anne Sexton (nella poesia Al mio amante che torna da sua moglie), che meravigliosamente esprimono il dramma della gelosia e del paragone, del sentirsi fragili e invisibili.

Lei è così nuda, è unica.
È la somma di te e dei tuoi sogni.
Lei è solida.
Quanto a me, io sono un acquerello.
Mi dissolvo.

Scritto da: Marta Di Grado