Riflettiamo su tre elementi che caratterizzano la nostra relazione con i piccoli di due/tre anni d’età: il volume della voce, il tipo di linguaggio e la fermezza educativa.

 

Il comportamento del bambino nei primi tre anni di vita è profondamente influenzato dall’atteggiamento degli adulti che lo circondano.

Di seguito esploreremo alcuni aspetti su cui riflettere al fine di migliorare l’adattamento del bambino all’ambiente.

Il volume della voce

Immaginiamo che il bambino stia facendo qualcosa che non dovrebbe fare, ad esempio lanciare le mollette dal balcone. Spesso il genitore direbbe al bambino di “smettere” utilizzando un tono di voce basso e quasi supplichevole, ad esempio: “dai smettila di fare così!”. Quando questa modalità non funziona il genitore in genere utilizza un tono molto alto e aggressivo, ad esempio: “ma non capisci? Ti ho detto basta!”. Ciò probabilmente farà immobilizzare il bambino per qualche istante, ma ben presto egli riprenderà l’azione inappropriata.

Che cosa manca in tale sequenza? Manca il richiamo con tono deciso e l’offerta di un’attività alternativa attraente che possa rispondere all’esigenza del bambino, ma tenendo conto delle condizioni poste dal genitore ad esempio: non puoi lanciare le mollette dal balcone, ora sistemiamo un cesto e potrai lanciarle lì”.

Il tipo di linguaggio

Spesso i genitori si rivolgono ai bambino con un linguaggio troppo semplice o troppo complesso rispetto alla sua età. Ad esempio, ci si rivolge a bambini di un anno con domande retoriche del tipo: “ti sembra giusto questo?”. Questo tipo di linguaggio È controproducente e non risponde all’esigenza di chiarezza del bambino.

È importante non fare discorsi troppo lunghi poiché si rischia di confondere il bambino, quindi è bene ricordarsi di usare frasi brevi, chiare e mostrare coerenza tra quello che si dice e il modo in cui lo si dice. Questo in quanto i bambini si accorgono se siamo convinti di quello che stiamo dicendo e si comportano di conseguenza.

La fermezza educativa

Dire “no” ha un valore educativo. Vietare qualcosa induce il bambino a trovare strategie nuove per ottenere ciò che realmente desidera. La definizione delle regole è importante in quanto pone dei limiti che sono rassicuranti per il bambino, pensiamo ad esempio al neonato in culla che spesso si addormenta poggiato alla spalliera: essa rappresenta in quel momento una protezione da tutte le sensazioni che sente.

Le regole andrebbero espresse in modo chiaro, dire “mangia bene” non è sufficiente, serve mostrare praticamente come vanno posizionate le posate affinché il nostro intervento sia realmente utile. Inoltre è preferibile esprimere le regole in forma positiva, ad esempio piuttosto che dire “non si gioca col pallone in casa”, è meglio dire: “puoi giocare col pallone in giardino”. In questo modo il bambino sarà più predisposto ad obbedire.

Il numero di regole deve essere adeguato all’età del bambino, per esempio per un bambino di due-tre anni dovrebbero essere massimo 5 o 6. Esse devono essere concordate tra i genitori, dato che se il bambino percepisce che un genitore è predisposto ad accontentarlo allora avrà l’idea che il genitore che lo asseconda è “più bravo” dell’altro, poiché in realtà può manipolarlo; ma a lungo andare l’incoerenza educativa tra genitori genera nel piccolo confusione, ansia e insicurezza.

È importante non chiedere al bambino qualcosa che noi per primi non siamo disposti a fare, in pratica dovremmo fungere da modello comportamentale rispettando noi stessi le regole che stabiliamo.

Tale stile educativo favorisce lo sviluppo di bambini sicuri, creativi, indipendenti e ben adattati socialmente. Certo è che ci capiterà di sbagliare, siamo umani! I modelli educativi del nostro passato si ripresenteranno anche se abbiamo promesso a noi stessi di comportarci in modo diverso dai nostri genitori.

Per poter cambiare è importante prendere consapevolezza del passato e riporre fiducia nel futuro.

Scritto da: Dott.ssa Graziella Pisano