Quali sono le caratteristiche della paura? E quali reazioni si possono avere quando ci si confronta con questa emozione in un momento di emergenza?

Non permettere a noi stessi di provare paura ci pone in una condizione di estrema fragilità emotiva, perché da un lato ci fa recitare la parte di coloro che non cadono vittime delle angosce e ci fa sentire apparentemente invincibili, ma dall’altra parte ci preclude la possibilità di un confronto con noi stessi, con i nostri limiti e, reciprocamente, con le nostre risorse.

Apriamo una parentesi teorica, rivolta a tutti. La paura in psicologia viene compresa tra le sei emozioni di base identificate dallo psicologo statunitense Paul Ekman (1972, 1987). Per emozioni di base si intendono quelle emozioni che vengono provate da tutti gli essere umani, prescindendo da caratteristiche quali cultura di appartenenza, sesso, età, etnia, ecc.

Possiamo definire la paura come uno stato emotivo connotato da una sensazione di pericolo, per sé o per altri, legato ad una particolare situazione o stimolo. La paura viene alimentata da tensione e incertezza, che ci impediscono di poter dedurre in modo chiaro ed inequivocabile quali saranno le conseguenze con cui dovremo relazionarci. La paura può scaturire da uno stimolo definito e circoscritto oppure avere ad oggetto qualcosa di indefinito, che non riusciamo a identificare. È bene tenere in considerazione che la paura, come tutte le emozioni che possiamo provare, se espressa in modo proporzionato al pericolo, ha una funzione adattiva, ovvero ci consente di relazionarci con una situazione data dall’ambiente che ci circonda, in modo utile e funzionale per la nostra sopravvivenza. Tradotto in termini più pratici, possiamo dire che la paura ci tutela poiché ci consente di riconoscere una situazione di pericolo e di prepararci ad affrontarla. Le reazioni che mettiamo in atto di fronte alla paura possono essere di attacco o di fuga, a seconda che decidiamo di fronteggiare e opporci allo stimolo che ci fa paura, oppure che optiamo per evitarlo. Risulta intuitivo comprendere come la decisione di fuggire o attaccare dipenderà in larghissima parte, oltre che dalle predisposizioni personali di ognuno di noi, da una serie di elementi che caratterizzano l’oggetto della nostra paura e da quanto la paura stessa dell’oggetto impatti su di noi in termini di benessere psico-fisico.

Cosa vuol dire allora affermare che la pandemia di Covid-19 ci fa paura? Significa poter conoscere che ci sentiamo in una situazione di pericolo sia per noi stessi che per le persone a noi vicine e per gli altri in generale, e che questo pericolo è legato al rischio biologico di infettarci e di contrarre il Covid-19. Significa chiederci se la paura che proviamo in questa situazione è proporzionata al reale pericolo che stiamo vivendo e, se sì, se risulta essere utile e funzionale per poterci proteggere e salvare dal pericolo stesso. Significa riconoscere che è una situazione alimentata da tensione e incertezza, e della quale non possiamo dedurre in modo chiaro ed inequivocabile le conseguenze sul piano sanitario, economico, sociale e psicologico.

Relativamente agli stimoli che elicitano la paura possiamo sicuramente affermare che il principale di questi sia rappresentato dal virus, a cui si somma la preoccupazione legata alla morte, alla sofferenza, al contagio. Possiamo tuttavia aggiungere anche una serie di stimoli indefiniti e poco delineati, legati per esempio alle preoccupazioni derivanti dalla situazione economica e lavorativa che conseguirà, alla incertezza legata alla durata della situazione di emergenza e al tempo post-emergenza. In quale misura questi stimoli, o altri, alimentino la nostra paura è ovviamente un dato soggettivo, che dipende in larga parte dalla capacità del singolo individuo di razionalizzare e incasellare in modo funzionale le informazioni che riceve circa la situazione in corso, nonché dalla capacità di comprendere a fondo e informarsi tramite fonti certe, per evitare di alimentare l’incertezza. L’intensità con cui questa situazione ci spaventa dipende inoltre molto dalle risorse personali che possiamo mettere in campo sul piano emotivo e psicologico per fronteggiare la paura, cioè quelle strategie che ci permettono di mantenerci lucidi e quanto più possibile calmi riguardo alla situazione che stiamo vivendo. Situazione dinnanzi alla quale, come da teoria, possiamo rispondere con due tipologie di comportamenti a seconda che decidiamo di combattere la paura o di fuggirla.

Combattere la paura significa combattere tutti i suoi stimoli, significa mettere in campo le proprie energie cognitive ed emotive per far fronte ad una situazione totalmente nuova, ricolma di incertezze e di domande prive di risposta, di dubbi irrisolvibili, di attese e di vite attaccate a respiratori. Combattere la paura cioè significa ammettere di avere paura. Avere paura di essere stati contagiati, avere paura che i più fragili, perché di età avanzata o perché presentano quadri clinici compromessi possano non sopravvivere, avere paura che lo stress legato a questa situazione prenda il sopravvento sulla nostra emotività e ci crei problemi psicologici che a loro volta ci spaventano. Significa anche cedere alla paura di restare senza alimenti e beni di prima necessità, così come a quella di essere costretti in casa senza riuscire a vedere la fine, in termini temporali, di questa situazione e temere per gli aspetti economici dovuti all’impossibilità di svolgere il proprio lavoro. Significa, non da ultimo, riuscire ad adattarsi in modo funzionale e positivo ad una situazione di isolamento sociale forzato e reinventare il tempo in esso, così da dotarlo di senso. Sfide queste che si configurano come vere e proprie battaglie quotidiane con e contro noi stessi, nell’ottica di riadattarci ad una dimensione di vita fino ad oggi mai immaginata.

Fuggire la paura, di contro, significa sottrarsi al presente, negare le peculiarità della situazione che stiamo vivendo fino a giungere al punto di negare a noi stessi di avere il diritto di avere paura, cioè negarci la possibilità di dirci chiaramente e senza equivoci “io ho paura di quello che succede intorno a me”. Non permettere a noi stessi di provare paura, aver paura di avere paura, ci pone in una condizione di estrema fragilità emotiva, perché da un lato ci fa recitare la parte di coloro che non cadono vittime delle angosce che attanagliano la società e ci fa sentire apparentemente invincibili, ma dall’altra parte ci preclude la possibilità di un confronto con noi stessi, con i nostri limiti e, reciprocamente, con le nostre risorse. Se non ci poniamo nella condizione di provare paura, ci risulta molto difficile riuscire ad identificare in modo nitido quali siano gli stimoli che ci scatenano questa emozione; conoscere l’origine della nostra paura ci consente di delineare quali siano i confini oltre i quali non siamo in grado di addentrarci e di conseguenza quali siano le risorse personali che possiamo mettere in campo per provare a spingere un po’ oltre queste linee di confine. Negarci di avere paura può sembrare apparentemente una misura adattiva, che ci protegge dal dolore che la presa di coscienza porta con sé: non serve certo lo psicologo per capire che negare che un problema esista ci toglie dalla condizione di subirne gli effetti collaterali, se non altro a livello emotivo.

La necessità di rispondere ad una richiesta sociale precisa, che ci impone di mostrarci sempre funzionanti al massimo delle nostre potenzialità, ci pone nella condizione di dover rispondere ad un alto standard di performance, quello di coloro che sono forti. Essere forti è comunque un livello emotivo tutt’altro che rigido e prestabilito, ma anzi altamente modellabile e adattabile. Porsi interrogativi circa la necessità stessa di dover essere forti risulta quantomeno inutile in un mondo dove il progresso della specie di basa sulla sopravvivenza dell’individuo più forte biologicamente e – in tempi moderni – emotivamente. Di contro si rivela più che mai necessario interrogarsi circa il significato di essere forti. Non è più quindi un “chi” è forte, ma diviene inevitabilmente un “come” si è forti. Ragionevolmente si può concludere che forte possa essere colui che si concede la possibilità di esperire tutte le emozioni che prova, senza necessità di reprimere quelle più spiacevoli e di più difficile gestione, ma anzi permettendo a sé stesso di lasciare che queste emozioni si manifestino nella loro integrità in modo tale da poterle conoscere e gestire in modo adattivo e funzionale. Forte è colui che non ha paura di avere paura, e che dalla paura stessa ricava le risorse per fronteggiarla.

Inevitabilmente la paura che sta accompagnando questo periodo storico e sociale non è una paura che possiamo governare e gestire interamente da soli, perché si tratta di una paura di dimensioni molto vaste, sia in termini di intensità che di durata. È una paura che coinvolge tutti noi, che si insidia ovunque, senza lasciarci la possibilità di sfuggirla, neanche per un attimo. Possiamo concederci di avere paura, dunque, e possiamo farlo senza paura di avere paura. Quali saranno poi i risvolti psicologici del Covid-19, i mostri che lo accompagnano, non possiamo far altro che aspettare di vederlo.

 

Scritto da: Elisa Tagliaferri