Quali sono le ripercussioni psicologiche di un momento delicato come quello attuale e delle misure messe in atto per contentere il coronavirus?

Nel tempo del contagio pandemico, come viene definito il momento che stiamo vivendo, da più parti si sollevano voci per evidenziare gli effetti sulla salute dell’uomo determinati dal cosiddetto Coronavirus.

La denominazione coronavirus è dovuta alla particolare forma a corona di questo virus, quasi come uno scherzo della natura, quella di avere una struttura a mo’ di principio regio e assolutistico naturale.

Al di là degli esiti che produce, connessi ad una sindrome respiratoria acuta grave, ci sono effetti derivanti dalle restrizioni adottate per impedirne la diffusione ed il contagio, che assumono particolare rilievo dal punto di vista della sofferenza psicologica che possono determinare.

I numerosi DPCM che si sono susseguiti hanno, di volta in volta, aumentato le limitazioni alle libertà individuali, fino ad arrivare al punto di impedire alle persone di uscire di casa, se non per gravi e comprovati motivi.

Effetti della convivenza forzata per le famiglie disfunzionali

Il ritiro sociale e la convivenza forzata a cui è stata costretta la popolazione inevitabilmente hanno determinato cambiamenti nella vita degli individui. Cambiamenti che non sempre sortiscono effetti positivi per le persone.

Per un verso molte famiglie si sono viste ricongiunte, come forse non avveniva da anni o non era mai accaduto. In molti casi si è ricostruita una nuova conformazione familiare, che per molti aspetti non ha dato ai suoi componenti il tempo di adattarvisi.

Ma a mano a mano che i giorni passano, stare insieme diventa un modo per riappropriarsi di tempi e di spazi che magari erano stati fino ad allora solo desiderati. Ecco allora che si scoprono linguaggi nuovi e modi di comunicare differenti, in cui non c’è posto per i monosillabi pronunciati frettolosamente, ma è richiesto un verbale più ricco nelle parole e nei toni. I gruppi familiari su whatsapp non hanno più regione di esistere, ma a questi se ne vanno a creare altri, fino a qualche tempo fa impensabili.

La tavola riprende il posto centrale di aggregazione familiare

La famiglia in molti casi riprende un funzionamento equilibrato, che significa promuovere uno sviluppo psicologico appropriato dei suoi componenti.

Ma la convivenza “forzata” dei nuclei familiari, non sempre può essere foriera di effetti positivi. Del resto tutto ciò che è imposto, a lungo andare può generare forme di insofferenza. Questo succede maggiormente nel caso delle famiglie disfunzionali, ovvero quelle famiglie che hanno modalità comportamentali di tipo “invischiato o disimpegnato”, in cui i membri cercano rispettivamente una forma di aggregazione patologica e invadente o di sfuggire alle relazioni ed ai meccanismi di comunicazione tra i presenti.

Nelle tipologie di famiglie invischiate, i confini individuali sono fortemente travalicati dall’altro o dagli altri. Non c’è l’individuo svincolato e autonomo nelle scelte, bensì il soggetto aggregato che si muove sotto la costante regia della identità familiare, che sovrasta su tutti. Permane un “basso livello di differenziazione”, che non promuove la crescita psichica ed emotiva del soggetto. Coloro che si trovano a soccombere sono caratterizzati da un basso livello di autostima, che li limita nei comportamenti e ne favorisce il senso di insicurezza e di inadeguatezza. In questi soggetti una convivenza forzata, determinata dagli eventi connessi al coronavirus, può determinare una crescita esponenziale di comportamenti connaturati da dipendenza e sottomissione, con manifestazioni di ansia anche ingestibile.

Dall’altra parte, nelle famiglie disimpegnate, ognuno è parte a sé stante, il tetto familiare è solo un mezzo per garantire la sopravvivenza dei suoi membri. I soggetti non comunicano tra di loro, se lo fanno è solo per lo stretto necessario alle incombenze quotidiane. Non c’è relazione tra i membri. Lo scambio affettivo è assente o quasi. Ogni membro della famiglia non ha tempo da dedicare all’altro. Vi è un distanziamento emotivo notevole. Nelle famiglie disimpegnate, il dato più significativo è che manca nei componenti la capacità di chiedere aiuto e di sostenersi.

Appare evidente come una situazione di permanenza forzata sotto lo stesso tetto, possa favorire, in questo caso, piuttosto che un ritrovarsi e stare insieme, riscoprendo anche un senso di appartenenza familiare, atteggiamenti di rabbia, sia per l’incapacità di chiedere aiuto, sia per impossibilità di approcciarsi all’altro. Rabbia e insofferenza che possono sfociare in comportamenti violenti tra gli stessi componenti della famiglia.

Gli adolescenti, in special modo, possono mettere in atto modi di fare aggressivi, poiché sono maggiormente insofferenti a sostenere una situazione di permanenza forzata nello stesso luogo; la condizione di vita familiare, che li vede senza la possibilità di uscire di casa e quindi di aggregazione col gruppo dei pari, può accrescere poi negli adolescenti la distanza emotiva e l’intolleranza reciproca.

Inoltre, non è da sottovalutare che l’impossibilità di frequentare coetanei può anche determinare l’evolversi delle condotte di dipendenza da videogiochi e dalla rete internet, più in generale da tutte quelle forme di dipendenze favorite dall’uso e abuso indiscriminato di Internet, dalla dipendenza da smartphone alla navigazione sui social, alla visualizzazione di filmati, al gioco d’azzardo online patologico (GAP) e ad altre forme di dipendenza come quella di filmati porno (sex-addiction ) o lo shopping compulsivo online.

Essendo Internet l’unica risorsa per comunicare, l’uso del mezzo tecnologico diventa lo strumento di elezione per entrare in contatto col resto del mondo. In questi casi la dipendenza costituisce un comportamento di evitamento attraverso cui il soggetto si rifugia nella rete per sfuggire alle sue problematiche esistenziali.

Senza contare la condizione già di per sé deleteria dei cosiddetti Hikikomori, che per definizione sono giovani che soffrono di un “acuto isolamento sociale non derivato da altre malattie psichiatriche”. Giovani che hanno difficoltà comunicative e relazionali, tali da evitare i contatti persino con i propri congiunti. E’ evidente come questi soggetti, venendosi a trovare nella condizione di isolamento, aumentano l’incapacità di superare la difficoltà a relazionarsi ma anche a contrastare la paura degli altri, un altro elemento che caratterizza questo tipo di condizione. Pertanto, la loro asocialità, in questo momento è, paradossalmente, ancora più normalizzata, questo a discapito di un recupero futuro di comportamenti aggreganti.

Nelle famiglie disfunzionali violente, dove i comportamenti aggressivi, il più delle volte, vengono messi in atto senza preavviso determinando in chi li subisce un forte senso di costante allerta e ansia, accade che la convivenza ristretta senza possibilità di “fuga”, possa determinare l’aggravarsi di situazioni al limite della tolleranza, con ripercussioni notevoli sull’equilibrio psicofisico di coloro che subiscono le violenze, ma anche su coloro che vi assistono e che sono ugualmente vittime. Molto spesso bambini e adolescenti, che, in una condizione di convivenza forzata, non hanno alcuna possibilità di sfuggire alla violenza.

Le violenze, lo ricordiamo, non sono solo di tipo fisico, ma anche di tipo psicologico. Sappiamo bene che la violenza psicologica è un potente precursore dei disturbi mentali, che vanno dalle nevrosi alle psicosi, anche di tipo superiore.

I bambini e gli adolescenti vittime di violenza assistita vengono a trovarsi in una condizione di prigionia, pertanto non vengono risparmiati dall’esposizione alla violenza che si genera in famiglia.

Coloro che soffrono di disregolazione emotiva, ovvero che hanno difficoltà a gestire in maniera equilibrata i loro pensieri e le loro azioni, possono attuare una marcata impulsività e trasferire, in modo irruente, la turbolenza mentale che avvertono ingestibile su chiunque, ovvero su tutti coloro che non sono rispondenti al loro ideale parossistico.

Effetti della convivenza forzata per le famiglie con disabili

Le famiglie in cui sono presenti uno o più disabili, in genere figli, vengono a trovarsi in una condizione di forte stress per la mancanza di aiuti esterni che generalmente favoriscono la gestione quotidiana del disabile.

Questo stato di cose e la condizione emotiva stressogena talvolta portano a crolli fisici e psicologici, di coloro che assistono al familiare infermo, determinando un forte calo delle risorse individuali ed un senso di resa incondizionata di fronte alle difficoltà del momento.

Effetti secondari dell’isolamento per i disturbi psichici

La costrizione domestica, che non consente uscite se non per motivi ben definiti dalla normativa in vigore, agisce sul versante dell’inedia, fattore favorente il consumo di droghe e alcool, in coloro che già sono consumatori abituali. Così come le cattive abitudini alimentari.

disturbi alimentari potrebbero aumentare in chi già ne è affetto o insorgere in chi inizia a consumare cibo senza regole con abbuffate.

La noia, condizione mentale in cui tanti potrebbero trovarsi, è un fattore altamente favorente l’uso e l’abuso di sostanze, alcool e cibo.

Pertanto, una convivenza forzata o uno stato di isolamento, possono costituire fattori predisponenti a condizioni dannose per l’organismo.

Come le condotte disfunzionali di famiglie e individui, anche i disturbi mentali possono avere un curva di crescita nel periodo di chiusura domestica forzato.

Mentre l’ansia attiva risorse e quindi può essere una buona fonte da cui attingere per fronteggiare situazioni difficili, l’angoscia associata alla paura non alimenta emozioni positive.

L’angoscia, ovvero la sensazione di impotenza e di fragilità, di fronte al nemico in questo caso anche invisibile e non connaturato alla biologia umana, aumenta e favorisce la consapevolezza della costante vulnerabilità di specie.

La paura di soccombere senza potersi difendere è un elemento fortemente destabilizzante di per sé, ma accresce in coloro che già vivono situazioni di fragilità emotiva e sono destrutturati mentalmente.

Avviene che i disturbi della personalità possono acuirsi e rendere la vita di coloro che ne soffrono, e di coloro che sono loro accanto, ingestibile.

Disturbi quali il DOC (disturbo ossessivo compulsivo) o il Disturbo Borderline con la sua vasta gamma di condotte nocive, possono vedere un aumento dei singoli aspetti che li caratterizzano o più di uno.

Nel DOC potrebbero aumentare le preoccupazioni per l’ordine, la pulizia maniacale, il perfezionismo, il controllo, al punto da rendere la vita invalidante sotto vari aspetti, non solo personali ma anche relazionali, considerata la costrizione di condivisione degli spazi comuni.

Così come il Disturbo Borderline di Personalità potrebbe vedere un incremento per quanto riguarda gli aspetti paranoici o autolesivi.

Il soggetto borderline, in considerazione del binario unidirezionale su cui si snoda la convivenza forzata, potrebbe diventare ulteriormente insofferente a coloro che gli sono accanto e che spesso vede come una minaccia alla propria integrità soggettiva.

In coloro che soffrono di disturbi dell’umore, come il disturbo Depressivo, possono aumentare i sintomi di inadeguatezza, il timore degli eventi negativi e il sentimento di insufficienza personale.

Anche chi soffre di disturbo schizoide potrebbe veder aumentare le difficoltà a socializzare e il rifiuto sociale, elementi caratterizzanti un quadro clinico già fortemente disturbante per il soggetto, dove l’isolamento e la solitudine rappresentano le caratteristiche salienti.

Ma coloro che in questo momento sono maggiormente chiamati in causa, portando all’eccesso le loro fobie, sono gli ipocondriaci o patofobici, ovvero coloro che soffrono per la paura di ammalarsi di una determinata malattia.

Per queste persone la paura delle malattie è la fonte di nutrimento della loro ansia. Paura che si trasforma spesso in panico e diventa un greve fardello da sopportare.

Anche per questi soggetti, il periodo che stiamo vivendo può rappresentare una condizione difficilmente gestibile.

L’analisi riportata ha l’intento di fare una panoramica sulle ripercussioni psicologiche di un momento tanto delicato per l’umanità, che vede tutti interessati. La comunanza del rischio, a cui tutto il genere umano è esposto, rappresenta, per molti aspetti, quel senso di appartenenza alla civiltà, di valori condivisi, che spesso viene trascurato. I divieti che tutti siamo chiamati a sostenere sono tanti ed anche pesanti, ma il fatto che siano stati imposti per una causa tanto importante, come quella di salvaguardare la propria vita e quella di tutti gli altri, dispone ad una condizione di accettazione inevitabile degli obblighi.

Del resto, è sempre la paura più grande che vince la paura più piccola.

 

Scritto da: Maria Tinto