Nella vita quotidiana, lo scorrere del tempo non è sempre uguale, ma è un’esperienza connotata soggettivamente dalle fluttuazioni nei nostri stati interni.

Un recente studio utilizza l’embodied experience per verificare l’ipotesi che, tramite la manipolazione di una stimolazione sincrona o asincrona, si possa alterare la percezione del tempo.

Quando un uomo siede un’ora in compagnia di una bella ragazza, sembra sia passato un minuto. Ma fatelo sedere su una stufa per un minuto e gli sembrerà più lungo di qualsiasi ora. Questa è la relatività.

Questo celebre aforisma, attribuito ad Albert Einstein, ci ricorda come nella nostra vita quotidiana lo scorrere del tempo non sia sempre uguale, bensì costituisca un’esperienza connotata soggettivamente dalle fluttuazioni nei nostri stati interni, come potrebbero esserlo in questo caso la temperatura o le emozioni di cui stiamo facendo esperienza.

L’esperienza cosciente del trascorrere del tempo, immanente nell’attività del nostro sistema nervoso che registra la scansione dello stesso e delle sue variazioni situazionali, ha fatto sì che alcuni autori suggerissero che si potesse palare di embodied time (n.d.t: tempo incarnato o basato sul corpo; Droit-Volet, 2014; Wittman 2014).

Facendo riferimento alla cornice teorica dell’Embodied cognition, si postula che le cognizioni di un soggetto siano influenzate tanto dall’attività della mente quanto dagli aspetti del nostro corpo che traducono il nostro essere-nel-mondo, quali il sistema motorio, il sistema percettivo e la nostra interazione con l’ambiente circostante (situadedness = l’essere collocati nello spazio e nel tempo attuali).

Un esempio, può essere quanto riscontrato dagli studi sugli effetti della Mindfulness, un insieme di pratiche meditative che focalizzano l’attenzione sul corpo, le quali non alterano solamente la consapevolezza circa corpo in sé, ma anche le valutazioni circa lo scorrere del tempo (Droit-Volet & Dambrun, 2019; Droit-Volet et al., 2019); altri studi, hanno evidenziato inoltre come i soggetti che avessero un’alta consapevolezza dei propri segnali corporei (nella fattispecie nel discriminare i propri battiti cardiaci), fossero anche più precisi nella percezione temporale (Meissner & Wittmann, 2011).

Di recente, Droit-volet e colleghi (2020) si sono serviti del paradigma dell’out-of-body illusion, per alterare la percezione di consapevolezza corporea e valutare gli eventuali effetti della stessa sull’accuratezza nella percezione temporale dei soggetti: tale illusione avviene quando vengono fatti coincidere sperimentalmente l’informazione visiva ed un’esperienza propriocettiva congruente con la stessa, tale per cui la logica deduzione alla quale arriva la nostra mente è che l’azione sia stata compiuta sul corpo che essa percepisce come proprio.

Questo paradigma sperimentale è l’evoluzione della celebre illusione della mano di gomma o Rubber Hand Illusion (RHI), più volte citata tra le nostre pubblicazioni; in questo caso, mediante un visore di Realtà Virtuale, il soggetto volge lo sguardo verso il basso, dove si trova il proprio corpo e il proprio braccio, mentre l’immagine che gli viene restituita è quella relativa al corpo di un manichino (posto dietro di lui nella stanza) visto dalla stessa prospettiva in prima persona, sul quale vengono effettuate delle azioni, come in questo caso stimolazioni di diverso genere applicate sul braccio corrispondente (Ehrsson, 2007).

È stato dimostrato in letteratura come l’out-of-body illusion, ovvero la percezione che il corpo del manichino appartenesse a loro stessi, avvenisse più spesso quando la stimolazione osservata sul braccio del pupazzo avveniva in maniera sincrona rispetto a quella esercitata sul braccio reale del soggetto; nella condizione asincrona invece, era presente un mismatch percettivo che contrastava l’insorgere dell’illusione e conseguentemente della credenza che quel braccio osservato fosse il proprio (Petkova & Ehrsson, 2001; Schmalzl & Ehrsson, 2011).

Basandosi sull’ipotesi che l’autoconsapevolezza associata alla percezione senso-motoria siano due fattori critici nella percezione del trascorrere del tempo, l’ipotesi degli autori era che manipolandole sperimentalmente con una stimolazione sincrona o asincrona, vi sarebbero state conseguentemente delle differenze nella percezione temporale dei soggetti.

I quarantasette partecipanti all’esperimento, dovevano pertanto giudicare un intervallo di tempo intercorso tra due stimolazioni presentate sul braccio del manichino, esprimendo verbalmente la stima della durata della stessa in termini di secondi (variabile da 4 a 8 secondi), dopo che fosse stata elicitata o meno l’out-of-body illusion: ogni partecipante è stato cioè sottoposto per tre volte alla stimolazione sincrona (fortemente elicitante) o asincrona (scarsamente elicitante) in ordine randomizzato, chiedendo che venisse espresso il grado di out-of-body experience percepita su di una scala a nove passi da “per niente” a “totalmente”. A seguire veniva mostrata la stimolazione target sul braccio del manichino, della quale si dovesse stimare la durata. Inoltre il tipo di stimolazione poteva essere di natura piacevole, ovvero effettuata con un pennello dalle setole soffici, oppure sgradevole, per la quale si è scelto di utilizzare uno strumento pericoloso come la punta di un coltello affilato.

Gli autori hanno calcolato l’errore temporale standardizzato, come la differenza tra la stima temporale espressa dal soggetto e l’effettiva durata della stimolazione sul braccio del manichino, diviso per la durata effettiva: un errore standardizzato più grande di zero avrebbe reso conto di una sovrastima da parte del soggetto, mentre un valore inferiore a zero indicherebbe una sottostima della durata.

Coerentemente con i risultati presenti in letteratura, anche in questo caso i soggetti riportavano più spesso il successo della out-of-body illusion dopo essere stati sottoposti ad una stimolazione preliminare sincrona, mentre, contrariamente alle aspettative degli autori basati su ricerche precedenti, non si sono riscontrate invece differenze sull’efficacia dell’illusione in presenza dello stimolo piacevole piuttosto che di quello sgradevole. L’intervallo di tempo veniva in effetti valutato come più lungo nella condizione sincrona che non in quella sincrona; infine, quando nel modello venivano presi in considerazione tutti i fattori, l’unico predittore dell’accuratezza circa la durata temporale appena osservata era la forza con la quale il soggetto sentiva la out-of-body illusion (p < .001), dove la valenza dello stimolo e la condizione sincrona o asincrona divenivano non significativi.

I risultati ottenuti dimostrano il ruolo chiave dell’esperienza di embodiment nel modulare la percezione dello scorrere del tempo; studi futuri potrebbero integrare questo paradigma sperimentale con la rilevazione di indici fisiologici come la conduttanza cutanea per verificare l’effettiva risposta emotiva agli stimoli utilizzati, che per esempio sono risultati irrilevanti in questo studio, forse perché non percepiti come realmente spiacevoli. Oppure, si potrebbero raccogliere indici dell’attività cerebrale come ad esempio la risonanza magnetica funzionale (fMRI), mediante la quale in altre ricerche (vedi Ehrsson et al., 2004) si è già ottenuta una misura del successo della rubber hand illusion, rilevando l’attività insita nella corteccia premotoria, che sembra essere il meccanismo neurale mediante il quale le esperienze somatiche vengono attribuite al sé.

Scritto da: Giulia Samoré