Considerazioni sugli effetti delle punizioni e dei rinforzi positivi sui bambini secondo il modello comportamentista.

Proviamo a riflettere su quali siano i motivi per i quali i genitori utilizzano la punizione.

  • Uno è sicuramente che la punizione ha un effetto immediato, soprattutto se agisce su qualcosa cui il bambino, o il ragazzo, ha a cuore o non ama per niente (es: togliere il tablet o far lavare i piatti).
  • Un’altra grande motivazione per la quale la punizione viene utilizzata da molti genitori è che molti di loro hanno ricevuto questo trattamento nella loro infanzia, per cui si tratta di un’abitudine educativa che si ripete. In certe famiglie, alcune delle quali ho avuto modo di conoscere personalmente, si utilizza la punizione come unico metodo educativo nei confronti dei figli.

Ma che cos’è una punizione? E soprattutto ci sono alternative ad essa?

Prima di rispondere, facciamo una piccola digressione storica…

Nel 1925 il padre del comportamentismo americano J.B. Watson era diventato famoso per la seguente espressione “Datemi una dozzina di bambini normali, ben fatti, ed un ambiente opportuno per allevarli e vi garantisco di prenderne qualcuno a caso e di farlo diventare un qualsiasi tipo di specialista io abbia voglia…un medico, un avvocato, un artista, un commerciante eh sì, perfino un mendicante e un ladro – indipendentemente dalle sue attitudini, simpatie, inclinazioni, capacità, vocazioni”.

Questa affermazione deriva sostanzialmente dallo schema principale del Comportamentismo che prevede che l’essere umano sia semplicemente un organismo che risponde passivamente agli stimoli dell’ambiente. Se il genitore dice al figlio non mangiare sul divano e lui non ascolta, sarà sufficiente un piccolo processo di condizionamento per mettere tutto a posto: quando il bambino inizia a mangiare sul divano scatta una punizione: salta la cena… In questo modo secondo Watson dopo alcune “cene saltate” il bambino smetterà di mangiare sul divano non appena il genitore glielo chiederà, proprio per paura che si verifichi il nefasto evento. Ma è proprio così semplice?

La punizione è efficace nel senso che permette di estinguere subito il comportamento disfunzionale prevedendo l’erogazione di una conseguenza negativa a seguito del comportamento errato, interrompendolo immediatamente e inibendone la replica (almeno fintanto che chi eroga la punizione controlla il comportamento del soggetto).

Infatti, la punizione ha un effetto immediato sul comportamento, ma non ne provoca la definitiva scomparsa, perché lo inibisce soltanto. Al cessare della punizione, la probabilità di riemergere del comportamento errato torna ad aumentare.

Inoltre, considera la possibilità che più la punizione viene utilizzata con frequenza, più è probabile che il bambino ne diventi immune, così nel futuro, per avere la sua obbedienza dovremmo rendere la punizione sempre più aspra. Oppure, potrebbe esitare in un atteggiamento rinunciatario verso le attività, proprio a causa del condizionamento negativo della punizione: cioè piuttosto che fare qualcosa di sbagliato, la persona si blocca.

In realtà sappiamo per esperienza che le cose non vanno proprio così…come pensavano i comportamentisti, perché gli esseri umani sono un po’ più complessi.

Riflettiamo ancora sugli effetti della punizione: abbiamo visto che porta al risultato, ma di che tipo di risultati stiamo parlando?

Sicuramente tuo figlio tenderà ad associare la punizione al suo comportamento scorretto… e non alla ragione per la quale quel comportamento non va tenuto. E questo è un grosso problema per lo sviluppo e l’apprendimento che saranno certamente penalizzati. E se ci pensi questo è un aspetto che anche noi adulti riconosciamo frequentemente quando ad esempio ci diciamo “eh sì mio padre mi sgridava (punizione) sempre quando non facevo quello che avrei dovuto fare, ed io solo adesso capisco il perché, ma quella volta non c’era verso e pensavo che mio padre ce l’avesse con me…”… questa frase sta proprio a significare che solo a posteriori siamo riusciti a capire il senso degli insegnamenti dei nostri genitori e la punizione non ci ha certo aiutato portando con se anche un altro tipo di problema. Infatti, nel momento in cui si è costretti ad agire la punizione, nostro figlio ci potrebbe giudicare ingiusti, cattivi, insensibili, ecc.… in altre parole è la relazione che viene danneggiata! E questo perché tuo figlio potrebbe non distinguere i fatti che motivano la punizione da colui che la applica.

Se la punizione non viene distinta da chi la mette in atto, tu potresti diventare per tuo figlio una persona da biasimare e lui potrebbe viverla come un abbandono, un rifiuto o un giudizio verso di lui e questa incomprensione genera spesso una sofferenza più importante della punizione in sé: cioè in quel momento tuo figlio potrebbe dubitare dell’affetto che nutri nei suoi confronti, tanto più se questo fraintendimento accade ogni volta che sei costretto a punirlo e tanto più è giovane di età.

Quindi se proprio è necessario punire, un genitore deve provare a salvaguardare la relazione affettiva! In pratica devi sempre ricordare quanto gli vuoi bene e così ti potresti esprimere in questo modo: “Sono costretto a… e mi dispiace perché ti voglio bene e non amo vederti soffrire!”. Così, oltre a manifestare l’autenticità dei tuoi sentimenti, preservi la relazione affettiva con tuo figlio, e non rinunci a far valere le regole.

Tornando ai comportamentisti c’è un’altra modalità che noi potremmo utilizzare per riuscire a controllare in modo meno coercitivo i nostri figli in questi momenti difficili.

Si tratta di una modalità che spesso mette a dura prova la resistenza dei genitori, cerchiamo di capire di cosa si tratta…

Sappiamo che un famoso collega di Watson, B. Skinner, aveva scoperto un’altra modalità per fare in modo che le persone apprendessero dalla loro esperienza. Si era infatti accorto, attraverso i suoi famosi esperimenti con i topi, che nel momento in cui essi avevano fame e cominciavano a cercare il cibo in giro per il labirinto dove Skinner li aveva messi, accadeva che quando, per pura casualità, il comportamento del topo portava a raggiungimento del cibo, si generava spontaneamente una ripetizione di quel comportamento, ovvero il topo diventava in grado di imparare qualcosa che prima non sapeva, solo per l’effetto della gratificazione (il cibo) che era seguita al suo comportamento di ricerca.

Questa modalità di apprendimento, si è scoperto in seguito essere perfettamente valida anche per gli esseri umani. Infatti, ciò che fa sì che noi ripetiamo una cosa che abbiamo già fatto e quasi sempre legato alla gratificazione che segue quel dato comportamento.

Banalmente quindi ciò che noi potremmo fare per evitare di usare un comportamento punitivo sarebbe semplicemente di far seguire ai comportamenti dei nostri figli che riteniamo positivi una gratificazione e lasciare che i comportamenti considerati negativi non abbiano conseguenze: in gergo tecnico questo si chiama “processo di estinzione” e significa che qualsiasi comportamento che non ha in sé una gratificazione prima o poi cessa.

Sì, ma direte voi, allora perché mio figlio vuole mangiare sul divano e non con noi in cucina? E, soprattutto, se io non faccio niente, lui continua a mangiare sul divano?

E qui sta la difficoltà e la fatica che deve fare il genitore. Infatti, se tuo figlio continua a stare sul divano è perché questa cosa produce in lui una gratificazione di qualche tipo. Il nostro compito sarà quello di riuscire a fare in modo che anche pranzare insieme diventi, in qualche modo, gratificante per lui. Se riusciamo in questo è molto probabile che non dovremmo né arrabbiarci, né ricorrere a punizioni per ottenere ciò che vogliamo da nostro figlio.

Scritto da: Dott. Bertolo Giancarlo

Apri la chat
Contattami per ogni esigenza
Ciao come possiamo aiutarti