Davvero le persone ottimiste hanno una marcia in più nell’affrontare le sfide quotidiane? Davvero l’ottimismo è il profumo della vita? E si può imparare?
Secondo la cultura popolare gli ottimisti sono caratterizzati da una visione della vita positiva, orientata al futuro, piuttosto che al passato; spesso si immaginano le persone ottimiste come più felici, più sorridenti, più gioiose. Ma è davvero così?
L’ottimismo, il profumo della vita
…l’ottimismo è il profumo della vita!
Così recitava in un famoso spot televisivo il poeta, scrittore e sceneggiatore Tonino Guerra, dando voce ad una frase che sarebbe risuonata per anni in ogni angolo dell’Italia. Entrate di fatto nella cultura popolare italiana, queste sette parole sono diventate il motto di tutti coloro che amano vedere il bicchiere mezzo pieno. E se la frase di Tonino Guerra è datata 2001, tanti altri sono i tormentoni e i personaggi caratteristici simbolo dell’ottimismo, di quello stile di vita colorato di positività, che spera sempre nell’arcobaleno anche quando ci si trova zuppi sotto la pioggia.
Alzi la mano chi non si è mai trovato a fischiettare insieme a Baloo e Mowgli la canzone più famosa del Libro della Giungla, targato Walt Disney.
Ti bastan poche briciole, lo stretto indispensabile, e i tuoi malanni puoi dimenticar. In fondo basta il minimo, sapessi quanto è facile, trovar quel po’ che occorre per campar.
Cos’è questa canzone – cantata nella versione tricolore da Tony De Falco e Luigi Palma – se non un inno all’ottimismo?
Per moltissimi, invece, l’ottimismo avrà i capelli rossi e le lentiggini di Pollyanna, personaggio protagonista dell’omonimo romanzo nato dalla penna di Eleanor Hodgman Porter e base per tante trasposizioni cinematografiche e cartoni animati. Oppure la barba bianca di Gongolo, il nano sorridente e felice di Biancaneve, il suono del “Salve salvino” di Ned Flanders dell’universo dei Simpson, o quello della risata di Pippo, il migliore amico sorridente di Topolino.
Ancora, gli amanti del genere fantasy ricorderanno il personaggio di Sam, del Signore degli Anelli, o il consiglio dato da Albus Silente ad Harry Potter:
La felicità la si può trovare anche negli attimi più tenebrosi, se solo uno si ricorda … di accendere la luce.
Gli appassionati di storia apprezzeranno la frase attribuita a Sir Winston Churchill:
L’ottimista vede opportunità in ogni pericolo, il pessimista vede pericolo in ogni opportunità.
Mentre gli amanti della musica, almeno una volta, avranno canticchiato Don’t worry, be happy di Bobby McFerrin. Forse, anche Einstein preferiva l’ottimismo; in una frase attribuita a lui si legge:
è meglio essere ottimisti ed avere torto, piuttosto che pessimisti ed avere ragione.
Secondo la cultura popolare, dunque, gli ottimisti sono caratterizzati da una visione della vita positiva, orientata al futuro, piuttosto che al passato; spesso, poi, ci immaginiamo le persone ottimiste come più felici, più sorridenti, più gioiose.
Ma è davvero così?
Davvero le persone con un livello più alto di ottimismo hanno una marcia in più nell’affrontare le sfide della quotidianità? Davvero l’ottimismo è il profumo della vita? E si può imparare?
Prima di cercare di rispondere a queste domande, facciamo un passo indietro per scoprire cos’è davvero l’ottimismo e per vedere se corrisponde a quanto ci immaginiamo nella cultura popolare.
Ottimisti per disposizione
L’ottimismo è un tratto di personalità.
In psicologia, lo studio della personalità è stata una costante negli anni, passando per diversi approcci, autori, teorie. Prendendo in prestito le parole di Roberts (2009), possiamo definire la personalità come
uno schema relativamente duraturo di pensieri, sentimenti e comportamenti che riflettono la tendenza a rispondere in certi modi in determinate circostanze. (Roberts, 2009, p. 140)
In quest’ottica, tra questi pensieri, sentimenti e comportamenti duraturi che caratterizzano o meno ogni individuo, si inserisce anche l’ottimismo. Appunto, inteso come tratto di personalità, o disposizione, l’ottimismo assume anche nome di ottimismo disposizionale.
Lo studio dell’ottimismo come tratto di personalità affonda le sue radici solo negli ultimi decenni, quando, appunto, la cultura popolare, da un lato, e la ricerca scientifica, dall’altro, hanno iniziato ad interessarsi sempre di più a caratteristiche e correlati nascosti nel famoso bicchiere mezzo pieno.
Tra i primi a darne una definizione scientifica sono due ricercatori statunitensi, Micheal Scheier e Charles Carver. Oggi professori di psicologia rispettivamente alla Carnegie Mellon University di Pittsburgh e presso l’University of Miami, nel 1985 scrissero insieme un articolo pubblicato su Health Psychology con il titolo Optimism, coping, and health: assessment and implications of generalized outcome expectancies (Scheier & Carver, 1985). Oltre a discutere le proprietà psicometriche di una scala pensata per misurare l’ottimismo, i due studiosi diedero proprio una definizione di ottimismo disposizionale come di
tratto relativamente stabile che determina l’aspettativa generalizzata di risultati positivi in situazioni di vita rilevanti.
L’ottimismo disposizionale è dunque un tratto stabile di personalità, in grado di portare ad avere un’aspettativa generalizzata, cioè in diversi aspetti di vita dell’individuo, di risultati positivi. Si tratta di una definizione in cui è possibile ritrovare alcune delle caratteristiche viste prima presenti nella cultura popolare del bicchiere mezzo pieno, e del colore di positività che caratterizza la visione, in particolare, del futuro.
Ottimismo ed effetti positivi
Quali effetti può avere l’ottimismo sulle nostre performance, sugli stili decisionali, sulla nostra salute? Davvero non farsi abbattere dalla pioggia e pregustare la bellezza dell’arcobaleno può avere alcuni vantaggi per la nostra vita?
Sono numerosi gli studi condotti sulle persone con alto – e basso – livello di ottimismo e sui correlati che questo può avere nella vita quotidiana. Ad esempio, gli ottimisti ottengono performance migliori. Ma come?
Gli individui ottimisti – che, come ricordato prima, si aspettano un futuro più roseo – sono più perseveranti e persistenti per il raggiungimento degli obiettivi e accumulano più facilmente risorse nel tempo. Tutto ciò faciliterebbe una migliore performance in diversi compiti.
A concentrarsi sulla relazione tra ottimismo e performance è stata, in particolare, Suzanne Segerstrom (2007), oggi professore di psicologia presso l’University of Kentucky. Sono stati 61 gli studenti di giurisprudenza arruolati, per uno studio longitudinale durato ben dieci anni, con lo scopo di osservare ottimismo disposizionale, risorse e performance. Il risultato? Gli studenti che, al primo anno di studi, registravano livelli più alti di ottimismo erano anche quelli che, invecchiati di dieci anni, guadagnavano più denaro.
È un gruppo di ricerca tutto italiano, invece, quello che ha esaminato la relazione tra ottimismo e stili decisionali: Magnano, dell’università Kore di Enna, e Paolillo e Giacominelli – dell’università di Verona. L’ottimismo disposizionale rende le persone più fiduciose sulla possibilità di risolvere un problema. Quindi, come prendono decisioni gli ottimisti? Le persone con alti livelli di ottimismo, in genere, presentano stili decisionali razionali e logici, caratterizzati da una forte capacità di ricerca di informazioni, una maggiore definizione degli obiettivi, una maggiore pianificazione di azioni con definizione di piani alternativi. E chi vede tutto nero? Livelli più bassi di ottimismo, essendo associati a strategie di coping evitanti, possono portare ad uno stile decisionale più inefficace, con procrastinazione, presenza di dubbi e maggiore propensione alla delega (Carver, Scheier, & Segerstrom, 2010; Magnano, Paolillo, & Giacominelli, 2015).
Risultati simili sono stati ritrovati anche in uno studio condotto in Australia, da Creed, Patton e Bartrum (2002). In particolare, i tre ricercatori della Griffith University -Creed e Bartrum- e della Queensland University of Technology -Patton-, si sono occupati di ottimismo, pessimismo e scelta professionale. Ancora, il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto è in grado di influenzare il modo in cui scegliamo il nostro futuro professionale? I risultati hanno dimostrato che un alto livello di ottimismo disposizionale è associato ad una migliore pianificazione della carriera; inoltre, gli ottimisti sono più concentrati sui loro obiettivi. I pessimisti, invece, sono più indecisi e meno consapevoli delle loro possibili scelte.
Ma l’ottimismo ha anche dei rischi?
In effetti, alcuni studi hanno dimostrato un legame tra ottimismo disposizionale e tendenza al rischio. Nello studio di Gibson (2004), le persone con un alto livello di ottimismo disposizionale dimostrano di avere aspettative di vittoria più alte nel gioco d’azzardo e continuano a scommettere anche dopo aver registrato un risultato negativo (Gibson & Sanbonmatsu, 2004).
Come già accennato sopra, e come spiegato anche in un articolo pubblicato su State of Mind dal titolo Le strategie di Coping e l’ottimismo – Psicologia, gli individui con alti e bassi livelli di ottimismo differiscono anche nell’utilizzo delle strategie di coping.
L’ottimismo porta a una più frequente focalizzazione sul problema, con un impegno prevalente di strategie problem-focused, piuttosto che emotion-focused. (Ascolese, 2013)
Gli ottimisti sono infatti più inclini ad utilizzare strategie di coping, cioè modalità per fronteggiare i problemi, proattive. Queste strategie sono attuate ancora prima di sperimentare l’evento stressante. Al contrario, chi vede il bicchiere mezzo vuoto tende a mettere in atto strategie di coping incentrate sull’evitamento, cioè fuga o evitamento della situazione stressante.
E riguardo la salute fisica?
Un legame tra ottimismo e visite dal dottore sembrerebbe essere caratterizzato proprio dagli stili di coping. Reckel e Wong nel 1983 sono tra i primi a proporre uno studio a riguardo. Il campione? Un gruppo di soggetti anziani, istituzionalizzati e non. A loro è stato chiesto quali eventi si aspettavano nell’immediato futuro. Due anni dopo, furono indagati anche i sintomi fisici di alcuni di loro. Il risultato? Gli anziani più ottimisti riportarono meno sintomi fisici e anche una condizione fisica e psicologica migliore.
Insomma, ottimismi e pessimisti hanno modalità diverse di approcciarsi alla vita quotidiana. Davanti a momenti particolari e situazioni difficili, i primi sembrerebbero trovare le risorse necessarie per affrontare i fallimenti, senza arrendersi e con una visione più rosea del futuro.
L’ottimismo si impara?
A rispondere a questa domanda è stato Martin Seligman. Nato a New York nel 1942, Seligman è professore di psicologia presso l’University of Pennsylvania, ha ricoperto la carica di presidente dell’American Psychological Association dal 1998 ed è oggi considerato il fondatore della psicologia positiva e uno tra gli psicologi più eminenti del ventesimo secolo. Tra la sua produzione scientifica, si inserisce anche un libro edito nel 1990, dal titolo Learning Optimism.
L’ottimismo, dunque, può essere appreso e imparato (Peters, Flink, Boersma, & Linton, 2010; Seligman, 1990) da tutti noi. Anche dai più pessimisti. Tutti possono imparare a vivere in modo più ottimistico, con tutti gli effetti del caso. Cioè le nostre scelte, la nostra qualità di vita e la nostra salute fisica, potrebbero migliorare di conseguenza.
Le scoperte di Seligman e degli altri studiosi in questo ambito hanno avuto e stanno avendo enormi implicazioni, anche dal punto di vista clinico. Ma come si fa a pensare all’arcobaleno quando si è sotto la pioggia?
Una delle tecniche descritte da Seligman per esercitarsi con il pensiero positivo è la tecnica dell’ABCD (Seligman, 1990). Questa tecnica si basa sulla presa di coscienza dello sviluppo dei propri pensieri e le emozioni che ne derivano; si divide in quattro sezioni, partendo proprio dall’A, un evento accaduto nel qui ed ora.
Come descritto in un articolo precedentemente pubblicato qui su State of Mind, dal titolo La tecnica ABC, sono descritti i passi principali dell’ABCD, che riportiamo qui sotto.
- A – Activating event (Avversità) – sono gli eventi antecedenti.
- B – Belief system (cosa hai pensato?) – sono i pensieri.
- C – Consequences (come hai reagito?) – sono le emozioni e i comportamenti che seguono i pensieri (De Silvestri 1981).
- D – Disputa(discuti con le tue idee) – un rimedio per i pensieri negativi che accompagnano le avversità. Mette in discussione le convinzioni (i pensieri, B).
Dopo una presa di consapevolezza del legame tra le emozioni di disagio (C) e i pensieri (B), il passo successivo è semplice. Modificando le idee, si può cambiare anche lo stato d’animo.
Nell’esercitazione sull’ottimismo disposizionale, Seligman (1990) spiega questi concetti come segue:
A – si tratta generalmente di una avversità, una qualsiasi anche la più semplice. Deve essere però descritta con imparzialità. Parte degli esempi proposti da Seligman sono: un rubinetto che perde, accorgersi del cipiglio di un amico, un bambino che non smette di piangere, una grossa spesa, una disattenzione da parte del partner.
B – si tratta dei pensieri immediatamente dopo l’avversità, che rappresentano la modalità secondo la quale si interpreta l’evento. Degli esempi possono essere: “il mio amico è sicuramente arrabbiato con me” e “il rubinetto perde per colpa mia”.
C – sono le conseguenze dei pensieri; questa sezione indaga come si è sentito il soggetto, e cosa ha fatto, come conseguenza del pensiero. Parte degli esempi da lui proposti sono: “non avevo energia”, “l’ho fatto/a scusare”, “sono tornato a letto”.
D – è la disputa, vista come un rimedio per i pensieri negativi che accompagnano le avversità. Il ruolo della disputa è quello di mettere in discussione le convinzioni, cioè i pensieri, B. Questo passaggio può avvenire solo in seguito ad una presa consapevolezza del legame tra le emozioni di disagio (C) e i pensieri (B). Ciò che viene richiesto all’individuo è di contestare in modo deciso le convinzioni che seguono le avversità. Seligman, impostando l’esercitazione sull’ottimismo disposizionale, propone quattro modi per rendere convincenti le contestazioni:
- Prove – Che prove ho che giustificano il mio pensiero?
- Alternative – Ci sono delle spiegazioni alternative?
- Implicazioni – Anche se i miei pensieri sono corretti, quali sono le implicazioni?
- Utilità – Mi è utile soffermarmi su questi pensieri?
L’esercitazione impostata da Seligman richiede che l’individuo, una volta compresi questi concetti, prenda nota su un foglio, per sette giorni consecutivi, delle avversità che ha affrontato durate la giornata. Poi, occorre compilare le sezioni B e C collegate all’A iniziale, facendo attenzione a cercare il collegamento tra pensiero e sua conseguenza.
Viene spiegato quindi ai soggetti di fare attenzione al fatto che le spiegazioni pessimistiche scatenano la passività e lo sconforto, mentre le spiegazioni ottimistiche generano energia.
E quindi? Non ci resta che provare!
Scritto da: Giulia Marton, Laura Vergani