Articolo rivisto dal Comitato di GuidaPsicologi
Biancaneve racconta, con efficacissime metafore fiabesche, il conflitto mamma-figlia che si presentano nel percorso di crescita.
8 AGO 2019
Biancaneve è una delle fiabe più amate e più diffuse al mondo, in moltissime varianti.
Nessuno può dimenticare le immagini dello specchio magico, della mela avvelenata e dei sette nani.
Ma di che cosa parla questa storia, secondo un’ottica psicoanalitica?
Il tema è quello degli intensi conflitti che si presentano all’essere umano nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza, soprattutto in rapporto alle figure genitoriali.
All’inizio della storia incontriamo una regina intenta a cucire, seduta ad una finestra con la cornice d’ebano, in una giornata invernale in cui tutto il paesaggio è ammantato di bianco. La donna si punge un dito, tre gocce di sangue cadono sulla candida neve e lei, colpita dal contrasto dei colori, esprime un desiderio: “vorrei avere una bambina bianca come la neve, rossa come il sangue e coi capelli neri come l’ebano”.
Poco tempo dopo le nasce una figlioletta proprio come l’aveva sognata e che viene chiamata Biancaneve.
Come ne La bella addormentata, anche in Biancaneve vi sono dei riferimenti allo sviluppo sessuale (il bianco dell’innocenza contrapposto al rosso della sessualità) e al concepimento: la fiaba insegna al bambino, in modo velato, che i presupposti per la nascita di una nuova vita sono il desiderio dei genitori, che nasce nella loro mente e nel loro cuore, e un qualche misterioso accadimento corporeo, rappresentato dalle tre gocce di sangue che spiccano sul candore della neve.
La regina muore dopo aver dato alla luce la bambina e viene sostituita da una matrigna che, nonostante ci venga descritta come vanitosa ed egoista, per i primi anni non procura alcun problema a Biancaneve.
I conflitti nascono quando la fanciulla ha circa sette anni e comincia a crescere, diventando una possibile rivale per una donna ossessionata dalla propria bellezza.
La regina interroga continuamente il suo specchio magico per avere conferma della sua avvenenza:“Specchio fatato, in questo castello, hai forse visto aspetto più bello?”
La risposta dello specchio, sempre rassicurante, ad un certo punto cambia e le rivela quanto sia reale il suo timore di essere spodestata: “Il tuo aspetto qui di tutte è il più bello, ma Biancaneve dalla chioma corvina è molto più bella della regina!”
La matrigna diviene preda di un furore incontenibile, al punto che tenta di eliminare fisicamente la rivale.
La donna incarica un cacciatore di condurre la fanciulla nel bosco e di ucciderla, portandole come prove il fegato e i polmoni che ella, poi, intende divorare (anticamente si credeva che mangiando parti del corpo del nemico si potessero assimilare le sue caratteristiche, in questo caso la bellezza).
Per fortuna il cacciatore -simbolo di una figura paterna poco incisiva, che non riesce a proteggere Biancaneve da una madre così distruttiva- le risparmia la vita e la spinge a scappare nel folto del bosco e ad allontanarsi per sempre dal castello della regina.
La fanciulla fugge spaventata, non sa dove andare, ma per fortuna trova una minuscola casetta dall’aria accogliente.
Al suo interno, lindo e perfettamente ordinato, vi sono sette lettini allineati lungo la parete e una tavola apparecchiata per sette persone, con del cibo nei piatti.
Biancaneve è molto affamata, ma non vuole privare del cibo i misteriosi abitanti della casa, perciò fa solo dei piccoli assaggi da ciascun piattino e da ciascun bicchierino, poi si addormenta nel letto che le sembra più comodo, dopo averli provati tutti e sette.
Questo passaggio vuol farci capire che la bambina è già abbastanza matura da non essere travolta dai propri impulsi (divorare tutto spinta dalla fame, come volevano fare Hansel e Gretel con la casetta di marzapane) e che è in grado di rispondere, almeno in parte, ai propri bisogni cercando ciò che le si adatta di più (il letto perfetto per lei). La strada dello sviluppo, però, è ancora lunga e Biancaneve dovrà affrontare molte altre prove.
I proprietari della casetta sono sette nani che lavorano come minatori: essi rappresentano una forma di vita immatura e poco flessibile, dediti come sono ad un lavoro incessante e ad una vita priva di relazioni con l’altro sesso. Per sottolineare la loro mancanza di individualità, niente ci viene detto a proposito dei loro nomi o di altre caratteristiche che permettano di distinguerli l’uno dall’altro.
Come vedremo, il loro affetto per Biancaneve non è sufficiente perché possano comprendere i suoi conflitti e i suoi tormenti -che per loro non hanno alcun significato- né perché possano proteggerla dai pericoli dello sviluppo.
I nani, al loro rientro, si accorgono che qualcuno ha guastato il perfetto ordine della loro dimora e si pongono un sacco di domande (“Chi ha mangiato dal mio piattino?”; “Chi ha bevuto dal mio bicchierino?”…) fino a quando non trovano la bambina addormentata in uno dei letti. Il loro stupore è grande, ma la bellezza di Biancaneve li incanta e decidono di non svegliarla.
Al risveglio, Biancaneve si spaventa nel vedere i nanetti ma loro la rassicurano promettendole di ospitarla se, in cambio, lei si impegnerà a svolgere i lavori di casa mentre loro si trovano al lavoro: così facendo, Biancaneve impara ad occuparsi di sé (ciò è reso simbolicamente dall’occuparsi delle faccende domestiche) e per un po’ rimane al riparo dal mondo esterno e dai propri conflitti interiori.
Come sappiamo, però, le tappe dello sviluppo sono obbligate e, prima o poi, nuovi bisogni bussano alla nostra porta e ci distolgono dalla nostra tranquillità.
Questi nuovi bisogni sono rappresentati dalle tre “tentazioni” che la matrigna, travestita, porta all’attenzione di Biancaneve.
Una volta che lo specchio magico le ha rivelato che la fanciulla è ancora viva, la regina cattiva decide di andarla a cercare personalmente per portare a termine il suo piano, fallito a causa del tradimento del cacciatore.
La prima volta la donna si traveste da merciaia e va nel bosco fingendo di vendere stringhe per il busto: questo articolo, che non è certo adatto ad una bambina bensì ad una ragazza adolescente, ci fa capire che Biancaneve è giunta a questo stadio di sviluppo ed inizia ad interessarsi al proprio aspetto e alla propria seduttività.
Nonostante gli avvertimenti dei nani, che le avevano raccomandato di non far entrare in casa nessuno, Biancaneve si fa convincere dalla sconosciuta ad indossare una bella stringa, che però la soffoca perché la matrigna gliela stringe al punto da toglierle il respiro.
La fanciulla sembra morta ma, per fortuna, i nani riescono ad allentare il nodo e a farla rinvenire.
La seconda volta Biancaneve, che sembra non aver imparato nulla dall’esperienza, ma che in realtà è alle prese con l’inevitabilità della crescita, si fa tentare da una venditrice ambulante di pettini che, ancora una volta, è la matrigna travestita.
Il pettinino -altro simbolo di femminilità- è avvelenato, la regina glielo conficca in testa e Biancaneve perde i sensi.
I nani la salvano di nuovo e, ancora una volta, la ragazza riprende la sua vita serena nella casetta (cioè regredisce ad un livello di vita più immaturo).
La terza volta la matrigna escogita un piano infallibile: farà mangiare a Biancaneve una mela avvelenata, così i nani non potranno più salvarla.
Con l’ennesimo travestimento, la regina va a bussare alla porta della casetta ma trova la ragazza un po’ più diffidente; per convincerla ad addentare la mela le propone di fare a metà: lei mangerà la parte bianca, Biancaneve quella rossa.
La ragazza non ha più ragione di rifiutare e cade nell’inganno: addentando la metà rossa del frutto Biancaneve entra pienamente nella fase adolescenziale, caratterizzata da una sessualità ormai sbocciata, e fa “morire” per sempre la bambina innocente che è in lei.
I nanetti, tornati come al solito dal lavoro in miniera, questa volta non possono fare nulla per riportare in vita Biancaneve, perché non vedono il pezzetto di mela nascosto nella sua bocca.
Dopo alcuni giorni si rassegnano alla sua perdita ma, poiché la ragazza conserva il suo bell’aspetto nonostante la morte apparente (che è, appunto, simbolica), i nani la chiudono in una bara di cristallo, in modo da poterla ammirare per sempre: la fiaba suggerisce che è necessario un altro periodo di attesa, di immobilità, prima di arrivare alla definitiva risoluzione del problema.
La ragazza, il cui nome richiama il riposo invernale della natura sotto la coltre di neve (ricordate l’inizio della storia?), ha bisogno del classico “sonno” temporaneo per riprendersi dallo shock dello sviluppo sessuale raggiunto.
Un principe, che dopo un certo tempo si trova a passare nel bosco, vuole portare con sé la bara di vetro per poter ammirare per sempre la bellezza di quella fanciulla misteriosa: il trambusto del trasporto le fa buttar fuori il boccone avvelenato, così Biancaneve può risvegliarsi ad un livello superiore di sviluppo, cioè quello in cui non è più condizionata dalla madre cattiva che portava dentro di sé, bensì è libera di vivere la sua affettività matura.
A questo punto la ragazza può lasciare il limbo rappresentato dalla casetta dei nani, che ora non corrisponde più ai suoi bisogni, e unirsi in matrimonio col suo giovane innamorato.
Alla festa di nozze viene invitata anche la matrigna, che non sa che la sposa è proprio Biancaneve: quando lo scopre brucia letteralmente dall’invidia, indossando un paio di scarpe di ferro arroventate e ballando fino alla morte.
L’ammonimento finale della storia indica che una gelosia irrefrenabile e una passione senza controllo sono distruttive per chi le prova, mentre solo l’equilibrio interiore, conquistato con coraggio e nei giusti tempi, può condurci alla piena felicità.
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